I pezzi a cui mi riferisco fanno parte della sua avventura a Kuala Lumpur in Malesia dove la Fallaci (Tuan) andò a cercare, assieme al collaboratore e all'autista nonchè traduttore mussulmano (Ming Sen), le matriarche.
Ming Sen [...] non voleva credermi quando dicevo che le matriarche non sono necessariamente cattive, vivono solo in modo diverso dalle sue concubine: comandano i mariti come lui comanda le concubine, ecco tutto.
[... ]la loro autorità nasce anzitutto da ragioni economiche. Infatti son loro che posseggono la terra, non gli uomini, e la tramandano di figlia in figlia come se i maschi non esistessero. Si sposano con un solo uomo e gli sono fedeli, però non prendono il suo cognome e non lo danno ai suoi figli. Nè vivono insieme al marito: dopo il matrimonio, salvo accordi speciali tra suocera e nuora che appartengono sempre a diverse tribù, gli uomini continuano a vivere insieme alla mamma e i figli non gli riconoscono autorità [...]
[...]non c'è malese che in fondo al cuore non tema la giungla [...] ma le matriarche non ne hanno paura e non la abbandonano mai. Non la abbandonarono nemmeno durante la guerra, quando tutti scappavano in luoghi un pò meno infidi. I giapponesi bruciavano le loro capanne, ed esse le ricostruivano. Distruggevano i loro campi di riso, ed esse ripiantavano il riso. [...] un giorno i poliziotti impegnati nella caccia ai ribelli andarono dentro la giungla per arrestare gli uomini delle matriarche. Circondarono intere tribù, piombarono con bazooka e i fucili sulle capanne, e trovarono solo le matriarche che ridevano ai bazooka e i fucili. Gli uomini non c'erano più. [...] erano fuggiti o stavano nascosti nei campi di riso, nell'acqua. Le matriarche invece preferivano farsi fucilare piuttosto che nascondersi o fuggire dalla terra che è simbolo del loro comando.[...]Uno fa tanti chilometri per arrivare dentro la giungla e, quando arriva, nel 1961, cosa trova? Una macchina da cucire e un grammofono. [...] "E' la dote di mio marito" disse la donna più govane che si chiamava Jamila. "La portò quando lo sposai". "Dov'è tuo marito?" hiese Mohammed Reza. "Da sua madre" disse Jamila. "Come da sua madre?" "Ma si. L'ho rimandato la lei. Non aveva voglia di lavorare e non gli andava neppure di raccogliere la gomma, che è un mestiere leggero. Non sapeva tagliare un albero, nè spaccare legna, nè cuocere il riso. Così l'ho cacciato. E' ora che anche gli uomini imparino a cavarsela un poco a sè. I tempi sono cambiati, non ti pare?"
[...]"Voglio dire che è tutto diverso" spiegai. [...] "Oh!" esclamò Hawa, allibita. "Però è il marito che obbedisce alla moglie, no?" "No" risposi. "Generalmente no. Questa, perlomeno, è la regola." Mohammed Reza traduceva e, a questo punto, una risata violenta esplose nella capanna. Le matriarche ridevano quasi avessi narrato la barzelletta migliore dell'anno [...]"E voi donne accettate una simile regola?" chiede Norpah senza degnare d'uno sguardo Mohammed e obbligandolo con un cenno veloce del dito a tradurre. [...] Junos, mi spiegò, era l'unico maschio della famiglia. "Il Signore lo ha fatto nascere maschio, povero Junos. E il mondo è così duro per gli uomini. Così lo faccio studiare perchè impari un mestiere che gli consenta di mettere insieme una dote e sposare una ragazza cui sia rimasto un poco di terra. Ho già perso tre denti" disse Hawa, felice. [...]"Le mie figlie hanno la terra, ma mio figlio ha i miei denti. Quando ho bisogno di soldi, vado a Kuala Lumpur e faccio togliere l'oro. Si sente male, ma cosa importa? Con questo dente ho comprato a Junos gli occhiali. Gli occhiali più grossi di Kuala Lumpur."
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