Magazine Cultura
Qual è la prima cosa che fate subito dopo aver visto un bel film? Discuterne coi compagni di visione è importante, prendere appunti nel caso ci fosse l'opportunità di scrivere una recensione è fondamentale, condividere un breve giudizio sui social network è ormai una prassi tanto sana (?) quanto imprescindibile, ma per la sottoscritta c'è un'unica sana vecchia abitudine senza la quale l'esperienza cinematografica non potrebbe mai dirsi davvero conclusa: recuperare e ascoltare la colonna sonora del film, passare giorni e giorni immersa nell'atmosfera di una canzone o di un tema e prolungare il più possibile l'esperienza di visione è uno dei piccoli piaceri della vita a cui non potrei mai rinunciare.
Si dice che non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina, ma scegliere un film partendo dalla sua colonna sonora è interessante: inciampi per caso in un titolo mai sentito, lasci che sia l'orchestra a fare la miglior promozione possibile e ti convinci che quel film lì, pur con la sua chilometrica lista di riserve, merita comunque un tentativo.
Spesso e volentieri tutto finisce bene, altre volte tu e la musica decidete di restare amici a patto che il suo film non osi mostrare mai più la sua faccia in pubblico; avevo promesso che sarebbe diventata una rubrica fissa ed eccoci qui, con un'altra pagina musicocinematografica tutta da gustare dedicata ad alcuni titoli che ho magicamente scoperto (o riscoperto) dopo averne ascoltato la colonna sonora. Ready? Let's start The Music!
Tracks
Da I Diari della Motocicletta a Into The Wild, ho sempre avuto un debole per le pellicole di viaggio che cercano fra una splendida cartolina e l'altra di andare oltre e cambiarti dentro, lasciandoti un po' di amarezza per ogni traversata impossibile a lungo sognata e non ancora intrapresa.
Nel caso di Tracks, ultimo lavoro dello spesso fedifrago (leggi "regista specializzato in film sull'adulterio) John Curran, lo spunto è tanto autentico quanto inusuale: la decisione della venticinquenne australiana Robyn Davidson di attraversare il Deserto dell'Outback fino all'Oceano Indiano a piedi e con la sola compagnia del suo adorato cane e di quattro cammelli sarebbe stata uno spunto perfetto per una canonica storia di esplorazione e arricchimento, ma con buona pace dei libri di Chris McCandless e del quaderno d'appunti di Che Guevara Robyn si butta nella difficile e pericolosissima impresa senza sapere bene che cosa cercare, annaspando alla cieca contro una vita che la vede costantemente incapace di studiare o trovarsi un lavoro stabile; il bisogno di portare a termine qualcosa, unito alla speranza di poter approfittare della straordinaria circostanza per mettere finalmente a fuoco un'identità disorientata dalla morte della madre e dall'abbandono del padre, viene portato avanti con determinazione dalla ragazza, complice l'insofferenza verso i vezzi dei coetanei e il rifiuto per le squilibrate basi colonialiste che hanno fondato il suo Paese(siamo nel 1977), ma anche con una notevole dose d'incoscienza giovanile sintetizzata al meglio da quel purissimo "perchè no?" sbattuto in faccia a tutti coloro che le chiedono il perchè del suo viaggio.
A scortare occasionalmente la "Signora dei Cammelli"(una Mia Wasikowska misantropa e antipatica quanto basta) troviamo un simpatico fotografo(Adam Driver), a differenza della protagonista devoto alla sua professione e sicuro del proprio posto nel mondo; presenza costante quasi quanto i panorami mozzafiato dell'Australia più arida, sacra e incontaminata è invece la colonna sonora di Gareth Edwards, poco incline a lasciare che la pellicola resti immersa nel silenzio della natura e parecchio insistente anche nei momenti di maggiore contemplazione: un onnipresenza che potrebbe sembrare fastidiosa, ma che come nel recente caso di Life of Pi riesce nonostante tutto ad accompagnare la protagonista nel suo peregrinare con notevoli picchi di grazia e suggestione, alternando melodie tribali e "afose" con ballate più intraprendenti, soffici e malinconiche, pronte a raccontare la solitudine come un ossimoro di pace e dolore racchiuso in poche, singole note sospese sulla tastiera del pianoforte o sulle corde del basso.
The Painted Veil
Secondo appuntamento di questo post con John Curran e perfettamente inserito nel filone "fedifrago" del regista (vedi sopra), The Painted Veil arriva nel 2006 per portare sul grande schermo l'omonimo romanzo di William Somerset Waughan e dare nuova vita ai personaggi di Kitty e Walter Fane, giovane compia sposatasi in tutta fretta più per onorare le convenzioni sociali che il vero amore, fiondatasi nel bel mezzo di un'epidemia di Colera nella Cina degli anni 20' un po' per cercare di rigenerare un rapporto incrinato dal tradimento di lei e un po' per puro e semplice desiderio di vendetta; vanesia, superficiale e del tutto estranea al suo cuore, Kitty ha il volto di porcellana di Naomi Watts, alle prese con l'ingrato compito di gestire il ruolo che fu di Greta Garbo nel 1934; al suo fianco, un Edward Norton dolce e affidabile ma altrettanto duro, distaccato e crudele una volta messo alle strette dal tradimento della moglie.
Abbattere il muro fra i due, eretto dalla menzogna e dall'incapacità di ascoltarsi e comprendersi davvero smettendo di farsi del male a vicenda richiederà sacrificio e sofferenza, ma la soglia dell'autodistruzione così insistentemente sfiorata domanderà il suo prezzo senza sconti lasciando dietro di sé una lunga scia di lacrime e rimpianti; arricchito oltre che dalle interpretazioni dei protagonisti anche dagli splendidi costumi e dai netti contrasti fra il sudore fetido e soffocante delle scene di povertà e malattia e il verde intensissimo dei fiumi e degli spazi aperti, quest'intenso melodramma all'antica non poteva che trarre beneficio dall'opera di Alexandre Desplat, all'epoca non ancora benedetto dalla fama internazionale ma già autore di diverse colonne sonore di pregio: intrisa di misteriose e mistiche atmosfere orientali, l'ost canta della Cina e dei suoi mille volti a partire dal tema di apertura "The Painted Veil", frenetico e vibrante come un'affollata giornata di mercato nel centro di Shanghai, ma triste e oscillante come i sentimenti iniziali dei due novelli sposi.
Non mancano pezzi classici riconoscibili e ben inseriti nel contesto dell'epoca (frequente l'uso dello Gnossienne n 1 di Erik Satie) ma a fare la differenza sono ancora pezzi originali dell'artista francese come lo straordinario The Water Wheel, infinito, zampillante e fresco come l'acqua della fonte che fa simbolicamente rinascere l'amore fra Kitty e Walter, o l'angosciante e spettrale Cholera, il minaccioso tema che accompagna l'incedere e il manifestarsi di un male mortale e spaventoso; ad oggi, ancora una delle migliori colonne sonore mai partorite dal genio di Desplat.
Belle
Se il 2014 verrà ricordato (dovunque tranne che in Italia, considerando il solito slittamento delle date di uscita che colpisce i titoli degli Oscar dalle nostre parti) come un anno luminosissimo per i film a sfondo matematico/scientifico (Interstellar, The Imitation Game, The Theory of Everything), non c'è dubbio che il 2013 abbia consacrato sé stesso al tema della Schiavitù; dai fasti delle premiazioni di Twelve Years a Slave al gustoso cut tarantiniano di Django Unchained e passando per la convenzionale e un po' esangue delusione di The Butler, c'è però un film che tutti o quasi hanno dimenticato di menzionare e che invece rientra perfettamente nella classifica: arrivato in punta di piedi nell'estate 2014, Belle non ha nulla da invidiare ai suoi prestigiosi colleghi, riuscendo a piegare le rigide regole del period drama alle esigenze di una storia vera incredibile e affascinante (rivelatasi, fra le altre cose, la vera ispirazione dietro a Mansfield Park di Jane Austen) e a raccontarla con sincerità e trasporto.
D'altronde, considerando gli standard del diciottesimo secolo la famiglia di Lord e Lady Mansfield (Tom Wilkinson e Emily Watson)non potrebbe essere più inusuale: non avendo figli propri e condividendo la grande dimora di Kenwood House (nell'odierno parco di Hampstead Heath, fuori Londra) solo con una parente nubile nubile, i due hanno accettato non senza diverse riserve iniziali di allevare sotto la loro custodia le nipoti Elizabeth(Sarah Gadon), biondissima figlia di primo letto di un nobile che l'ha abbandonata senza alcuna dote, e Dido Elizabeth Belle(Gugu Mbatha-Raw), una mulatta nata dalla relazione fra una schiava di colore e un capitano della marina nipote di Lord Mansfield, che viene ambita dai pretendenti a ragione della ricchezza lasciatale dal padre e allo stesso tempo respinta per il colore della sua pelle. Pur potendo contare sull'affetto indiscusso dei genitori adottivi e della cugina Dido soffrirà immensamente per la sua singolare posizione, ma fra proposte di matrimonio insincere e crudeli attacchi razzisti, a fare la differenza sarà una causa giudiziaria contro una nave negriera e l'amore di un povero avvocato, determinato a cambiare il mondo come pochi altri fortunati nel suo tempo.
Paradosso dopo paradosso, Belle (conosciuto in Italia come La Ragazza del Dipinto per il quadro, ancora appeso fino al secolo scorso a Kenwood, che vede raffigurate Dido ed Elizabeth come due eguali e senza alcuna sottomissione della prima alla seconda) affronta le ipocrisie dell'Inghilterra Georgiana con solida raffinatezza e non rinuncia a lasciarsi andare a un pianto liberatorio nelle scene di maggiore dolcezza e mai celato idealismo: in accordo alla firma inconfondibile della sua creatrice, la soundtrack di Rachel Portman preferisce come di consueto la limpidezza al virtuosismo, ma pochi artisti riescono a comporre arie in grado di ispirare tanta luce, speranza e rassicurazione come la cara vecchia Rachel.
The Emperor's New Clothes
Provate a googlare The Emperor's New Clothes( in Italia I Vestiti Nuovi dell'Imperatore) e non lo troverete, o almeno non senza aver prima dribblato fra mille difficoltà una serie infinita di titoli omonimi: diretta in tempi non sospetti dallo stesso Alan Taylor che oggi associamo con facilità alla Battaglia delle Acque Nere di Game of Thrones e a Thor - The Dark World, questa pacifica commedia del 2001 di ambientazione francese ma dal tocco molto british ( le riprese sono avvenute per lo più a Torino, giusto per completare il mash-up) immagina la fuga di Napoleone da Sant'Elena e il suo ritorno in Francia sotto mentite spoglie, nell'attesa di riorganizzare le truppe e riconquistare il potere.
Il piano andrà ovviamente a monte a causa di numerosi imprevisti, primo fra tutti un sosia scomodo e rozzo che si rifiuterà di recitare a dovere la sua parte a Sant'Elena per coprire l'Imperatore; in compenso, le circostanze avverse porteranno il nostro protagonista a fare i conti con i lati più oscuri della sua brama di potere e a mettere da parte l'orgoglio per amore di Pumpkin, una dolce venditrice di meloni stanca di vivere in solitudine.
Grazie a una sceneggiatura di ferro, al lavoro di un Ian Holm impeccabile alla sua terza volta in vesti imperiali e a un cast di volti all'epoca sconosciuti fra cinema e televisione(ci sono i giovanissimi Hugh Bonneville, Eddie Marsaan e Russell Tovey). il film affronta la figura di Napoleone con la giusta dose di humour e leggerezza senza però dimenticare di attaccare con precisione il grande ego del Generale, tanto ingombrante e insaziabile da sfiorare la follia, e allo spreco di vite umane consumatosi in suo nome.
Che colonna sonora scegliere per accompagnare degnamente questo film? Il lavoro di Rachel Portman (hello again!) parte da una marcia trionfale per il decaduto Napoleone e prosegue col suo classico approccio fresco e malinconico fino a raggiungere la vetta nella buffa e adorabile marcetta che accompagna la giornata di lavoro di Pumpkin e degli altri fruttivendoli della zona, organizzati da Napoleone in tattici schieramenti per affrontare al meglio la loro personalissima battaglia.
The Wind Rises
Dicono che scoprire Miyazaky da bambini sia una fortuna e avendo seguito da piccola quella meraviglia di Conan Ragazzo del futuro non posso che concordare: dopo aver perso di vista per diversi anni il lavoro del Maestro, ho iniziato un recupero compulsivo in tempi recenti scoprendo però con mia grande sorpresa di preferire titoli "minori"(se minori si possono definire) come Laputa - Castello nel Cielo e Ponyo sulla scogliera a capolavori conclamati come La Città Incantata e il Castello Errante di Howl.
Pur conservando elementi surreali e favolistici, il lavoro che segna il congedo definitivo di Miyazaki dall'animazione è bel lontano dalle ambientazioni fantastiche che avevano caratterizzato il resto della sua produttiva e luminosa carriera: The Wind Rises (si alza il vento) parte dalla realtà per raccontare la storia vera di Jirō Horikoshi, ingegnere aeronautico che progettò diversi iconici velivoli usati dall'aviazione giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale; uno spunto spinoso e scomodo, che il Maestro gestisce con tatto e destrezza ponendo l'accento sul desiderio di Jirō di realizzare il suo sogno di volare progettando meravigliosi aeroplani, al di là dell'uso bellico a cui questi vennero in fine destinati e compatibilmente con un progresso che solo l'avvento della Guerra ha reso tragicamente possibile.
Una storia che vola alto grazie alla poesia di Miyazaki, pronta a spendersi in una dichiarazione d'amore ricchissima di dettagli realistici (ho trovato straordinario che i protagonisti consumassero sigarette con naturalezza e senza problemi di politically correct) verso un Paese di magiche tradizioni e rigide gerarchie, ma altrettanto impegnata nella romantica visione di un' eterea fanciulla dai capelli blu che si fa spirito e simbolo di una vita degna di essere vissuta in ogni suo singolo istante.Perchè si alza il vento e bisogna dunque vivere, assecondando la dolce meraviglia di un sogno d'acquerello che il film ci lascia afferrare anche grazie alla colonna sonora del fedele Joe Hisaishi: mandolini e pizzicati dal sapore tutto italiano( Jiro è un grande ammiratore dell' Ingegnere Giovanni Battista Caproni e condivide spesso con lui i suoi sogni) si uniscono all'orchestra restituendo un'atmosfera d'altri tempi che ricorda alcuni lavori di Nicola Piovani ed Ennio Morricone, senza rinunciare a motivi malinconici e dolci come il tema per la sposa immaginaria di Jirō, Nahoko.
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