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Origo, dove nulla accade (all'apparenza) - Racconto

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Origo, dove nulla accade (all'apparenza) - Racconto
Origo. Una striscia di terra, lunga e stretta. Un piccolo villaggio sul mare, tagliato fuori dal mondo. Pochi abitanti. Pescatori. Commercianti. Niente turismo. Nessuna speculazione edilizia. Pochi ragazzi. Poche ragazze. Una noia mortale. Albe. Tramonti. Rumori di onde che sbattono sulla costa. Reti buttate nelle acque. Vecchie barche ormeggiate, addormentate nella loro monotonia. Odore di mare. Odori di pesce. Odori di brezza. Irene. Capelli rossi. Iridi azzurre. Spenti. Su e giù sull'altalena. Sulla spiaggia. Solitaria. Sanguina il suo desiderio al raggio di sole che illumina la sua fenditura. E la scalda. Ma il dondolio scalda anche il cuore di Ettore. Da lontano. Dietro i vetri della finestra. E ne accende il suo desiderio. Non meno forte, non meno intenso di quello di Irene. Desiderio che si consuma in una impugnatura forte e decisa. Ritmata. Vento che scuote le onde fluttuanti. Flutti che s'infrangano sulla spiaggia. Nell'ombra della camera. In un mormorio leggero. Piano. Lamentoso. Sordo. Lunghi centimetri che si sprecano in un’agonia solitaria. E Irene che vola più in alto sull’altalena. Verso il sole. Verso la vita che solitaria si spegne nell’ombra di una camera. Dietro i vetri appannati dal fiato di Ettore. E una voce interiore che lo fa tremare, fremere nello spasimo prolungato del suo rossore. In una strozzatura che si confonde nelle pieghe tra i colori del vestito a fiori di Irene. Colori lancinanti. Punte velenose che arrivano dritte al cuore. Al cervello. E lo avvampano. E la sacerdotessa dell’altrui desiderio sorride nella calura pomeridiana. Sorride compiaciuta dei suoi vorticosi lanci. Sempre più in alto quasi a toccare le punte del cielo. E il vestito a fiori che diventa nuvola d’argento. Mongolfiera che butta via le sue zavorre. O le sue voglie recondite. Misteriose. Sottili. Curve di labbra che si contraggano al riflesso della luce che spingono sino allo spasmo. Giù e su. Giù e su, sino ad arrestarsi di colpo e restare inerme con i tacchi che sfiorano la sabbia, che l’accarezzano con lo sguardo fisso all’orizzonte, dove gabbiani si levano in alto, sempre più in alto, e abbassarsi a pelo d’acqua, quasi a cogliere un attimo di refrigerio dopo tanto spasimare. Anche Ettore è calmo, tranquillo, fissa una pagina di storia, concentrato, annoiato, ma esausto e ogni tanto alza lo sguardo verso Irene, uno sguardo colpevole, timido. Tre guerre puniche sono tante anche per uno studente che di Annibale conosce appena il nome. Per lui sono più importanti le guerre che oggi giorno combatte a quell’ora contro i voli di Irene. E degli elefanti ricorda soltanto la proboscide che gli impedisce di essere uguale agli altri, che nasconde alla vista maliziosa dei suoi coetanei. Ma Origo è un piccolo villaggio e i segreti non durano a lungo. Un villaggio dove gli abitanti s’annoiano. Gli svaghi sono rari e gli uomini sono tutto il giorno sul mare. A pescare. E la sera tornano stanchi ed affamati e vanno presto a dormire. L’alba è sempre vicina. E le donne s’annoiano a casa. A cucinare e a preparare da mangiare per quei mariti che di giorno partano lontano. S’annoiano. E parlano. Bisbigliano. E i bisbigli alimentano la fantasia di Penelope. Stanca di impastare. Di premere i pugni contro l’impasto, che s’allunga e s’accorcia, che si stende e si raggruma. Che si fa sangue e passione. Passione e desiderio. Voglia di trasgredire. Di vincere la monotonia. Il ritmo sempre uguale delle sue giornate. Desiderio di conoscere il peccato. E il suo oggetto. Affondare le mani nell’impasto, allungarlo e manovrarlo. Ritmarlo in un gioco nuovo. Perverso. Ma piacevole.
continua....


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