C’è una società partecipata del Comune di Alessandria che va a gonfie vele. Non ha problemi di bilancio, i dipendenti non mugugnano e non ci sono sindacalisti rivoluzionari. Non dovrebbe neppure esserci amianto, inquinamento o pericolo nucleare. È la Centrale del Latte di Alessandria ed Asti, società per azioni in cui l’ente di Palazzo Rosso detiene una fetta del 10,35%. La Provincia di Asti detiene solo il 3,05%. L’altro ente della partita è il Comune di Novi Ligure, con un simbolico 0,46%. La maggioranza della Centrale è dei produttori di latte (l’84%): il centro Cooperativo Raccolta Latte ha il 23,12%, la fattoria Pederbona (Immobiliare Pederbona spa) da sola ha il 12,17%. L’altra grande azienda è la “Brezzi Romano, Giorgio e Giuseppe” (11,77%).
Con un fatturato che ha oscillato negli ultimi anni tra i 22 e i 26 milioni di euro, la Centrale del Latte dà lavoro ad un centinaio di persone, tra lavoratori dipendenti e indotto e rappresenta un “monopolista”sul mercato del latte fresco, qui da noi: ad oggi detiene circa l’85% della piazza in provincia e il 60% nel territorio astigiano. Sebbene a capo ci sia un presidente di nomina politica (Alfredo di Meo, ex Aristor, di area PdL zona AN, lato Marco Botta), la politica si è sempre (ufficialmente) tenuta alla larga dalla Centrale, preferendo colonizzare altri lidi, meno specializzati. Proprio per questa sua lontananza dalla politica i maligni la considerano un’isola felice, produttiva, florida, industriosa e forte. Claudio Acerbi, produttore di latte ed amministratore delegato della Centrale da una decina d’anni, non vuole però fare polemica (a parte un accenno sulle famigerate “quote latte”) precisando più volte che tra i produttori e gli enti pubblici si è sempre andati d’amore e d’accordo, che l’Azienda di viale Massobrio non ha mai avuto problemi fi nanziari e che si, qualche segnalazione politica per assumere amici-parenti-amanti c’è sempre (e sempre ci sarà), ma che alla fine – l’organico attualmente è al completo – alla Centrale comandano i produttori di latte, quelli che giornalmente conferiscono 800 quintali di latte: “Ma ne lavoriamo 600. Proprio per garantire l’Alta Qualità (produzione controllata, certifi cata e garantita) ci teniamo un margine di scarto”, conferma Acerbi, mentre gli arrivano sulla scrivania le statistiche delle vendite.
Il “prodotto” latte non subisce variazioni signifi cative, oscilla sempre dello “zero virgola”, in su o in giù. Burro, yogurt, mozzarelle & C. (che non vengono prodotte direttamente nello stabilimento alessandrino) e quello extra caseario (uova insalate, pasta fresca e gastronomia) invece, salgono anche del 14%, di mese in mese. Soprattutto in Versilia, Toscana, nuova zona di “conquista” della Centrale. Ma con marchio “Mì Latte”.
“Quattro anni Il nuovo prodotto di punta sarà Yogustalo fa abbiamo acquisito la Centrale del Latte di Viareggio, aumentando il mercato nel torinese, genovese e costa toscana”. Nel periodo di Lactalis che si beve il latte italiano Parmalat (“Anche noi siamo stati nel mirino di un grande marchio del settore, ma abbiamo resistito”), l’espansione della centrale provinciale rappresenta una felice realtà, nonostante la crisi del settore e tutti i problemi a livello comunitario sulle “quote”. Acerbi, allevatore di 500 capi (180 da mungitura), ha seguito fi n dall’inizio questa storia. “Il problema delle quote latte è nato nel 1983 e non è stato ancora risolto. La solita vergogna all’italiana”, taglia corto, visibilmente amareggiato per le diffi coltà in cui si devono quotidianamente imbattere gli allevatori seri. Negli ultimi dieci anni c’è stata quella che lui chiama la “rivoluzione”: “Da un centinaio in provincia, siamo rimasti 14 produttori di latte”.
La Centrale del Latte investe circa 200 mila euro all’anno in ricerche e test, per nuovi prodotti e per migliorarne degli altri. Su cinque, uno solo viene commercializzato. Ma non
sempre va bene. Lo yogurt da bere, per esempio, è stato un fl op. E poi ci sono stati errori sul packaging che hanno infl uito negativamente sulle vendite. Tra gli ultimi nati, dopo sei mesi di test, verrà presto lanciato “yogustalo” yogurt con il 30% di frutta rigorosamente piemontese. E poi c’è il progetto vending, con l’installazione nelle scuole di alcuni distributori automatici di merende sane, a far da concorrenza alle macchinette di snack. Ve l’immaginate degli adolescenti che invece di patatine e bibite gassate bevono, all’intervallo, latte e yogurt? Eppure, “Nei primi mesi di prova si è andati oltre ad ogni più rosea aspettativa”.
Progetti futuri? Trovare una nuova casa, magari in una zona industriale, poiché quella degli anni ‘50 di viale Massobrio ormai sta stretta. E poi. Stringere accordi industriali per le produzioni ed il confezionamento di formaggi e latticini, per migliorarne la qualità e ridurre i costi.
Terzo, aggiungiamo noi, ricordarsi di stare alla larga dalla politica.