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Orrori metropolitani: il Valentino con la ruota?

Creato il 07 settembre 2012 da Albertocapece

Orrori metropolitani: il Valentino con la ruota?Massimo Pizzoglio per il Simplicissimus

Ormai il corto circuito che ha carbonizzato ogni collegamento tra la vita reale e quella che vedono gli amministratori pubblici è dilagato in tutto il paese fino agli ultimi rivoletti decisionali della macchina statale.
E ha colpito anche i collegamenti interni, già famosi per essere riottosi al dialogo.

Ieri, a Città del Capo, la città di Torino ha “vinto” l’organizzazione del congresso mondiale degli architetti del paesaggio nel 2016 stracciando la candidatura di Istanbul con, tra le altre, una carta vincente: il sistema dei parchi cittadini, storici e recenti, con la sua organizzazione, conservazione e progettazione futura.
Sul manifesto della candidatura campeggia una sontuosa veduta del Po e di quel polmone verde che è il nonno di tutti i parchi torinesi: il Valentino.
Nato nel ’600, coccolato o trascurato, trasformato o conservato nei secoli, ha resistito con fatica e determinazione alla cementificazione selvaggia della città, soprattutto nel secondo dopoguerra, con qualche ferita grave, ma anche con la forza di essere, come recita il sito ufficiale del comune, insieme alla Mole Antonelliana, il simbolo di Torino.
Ebbene, con la più grande disinvoltura, in questi stessi giorni viene proposta l’istallazione di una ruota panoramica alta sessanta metri, vantata come la più alta d’Italia, proprio nel cuore del parco medesimo.
E fin lì non ci sarebbe da stupirsi: “è solo una proposta”, “di bestialità ne sentiamo tutti i giorni”…
Peccato che il sospetto che l’associazione dei giostrai e i soci di Mirabilandia, che si farebbero carico dei circa otto  milioni di costo totale dell’opera senza battere ciglio e senza chiedere nulla al Comune, abbiano già un via libera in tasca serpeggi con insistenza.
E “insistenza” è la parola giusta con cui definire il martellamento di apprezzamenti ed elogi che personaggi più o meno autorevoli della Torino che decide stanno spargendo a piene mani dalla carta stampata al web.

A parte qualunque considerazione estetica, l’opera in se ha dei connotati di nefasta inutilità che dovrebbero strangolare nella culla qualunque discussione.
Le ruote panoramiche ebbero un certo fulgore alla fine dell’800, quando le tecnologie consentirono di realizzare manufatti arditi e l’uscita dal secolo oscuro chiedeva a gran voce simboli di potenza, ingegno e dominio delle forze della natura.
Ne vennero costruite in alcune capitali europee con uno scopo preciso, insito nel nome: consentire la vista dall’alto di città altrimenti desolantemente piatte.
Londra, Parigi, Vienna…
Tutte, a parte la ruota del Prater, durarono pochi anni, poi furono smantellate perché la curiosità iniziale si era rapidamente dissolta e questi scheletri d’acciaio erano pari solo agli scheletri lasciati nei bilanci delle società di gestione a dare la sensazione della fallibilità umana.
Non se ne parla più per un secolo, a parte repliche più piccole nei baracconi delle fiere o nei parchi di divertimento americaneggianti, fino alla realizzazione della ruota di Londra per il millennio (che scatterà l’anno dopo, ma questa è un’altra storia), il London Eye, un trespolo alto 135 metri, indispensabili per districarsi in mezzo ai grattacieli che sorgevano come funghi nella city.
Da quella, come un morbo resistente agli antibiotici, riparte la corsa alle ruote: anche Parigi ne monta una in place de la Concorde (poi Discorde, visti i buchi nei conti e la rivolta dei residenti e delle persone di buon gusto), poi fortunatamente smontata, mentre le tigri orientali non si fanno mancare la loro roulette gigante sgomitando per avere il primato in altezza, come per i grattacieli, in questa sorta di priapismo edile.
Il più delle volte avendo come “panorama” i cantieri di una città tutta da inventare o le facciate a vetri dei grattacieli circostanti.

Ma, tornando alla nostra Torino, rispetto alle “capitali europee” che ci vengono citate ad ogni piè sospinto, manco fosse “l’Europa che ce lo chiede”, ha alcune differenze: primo, non è una capitale, lo è stata centocinquant’anni fa e ha smesso di esserlo poco dopo. Secondo, e fondamentale, non è piatta: ha la collina meravigliosa, citata ad esempio anche da Jefferson, a pochi metri dal Valentino medesimo, con un’infinità di punti panoramici da cui avere, gratuitamente, la miglior vista della città dall’alto, anche con la scelta  del “contorno” ambientale, senza dover vedere tutto nei venti minuti del giro della ruota o dover subire lo zucchero filato del bimbo dei vicini di cabina, assordati dalla musica scelta dal giostraio (nella presentazione alla circoscrizione, il socio di Mirabilandia sottolineava che le cabine sono dotate di video e spiegazioni multilingue, così si fa il giro panoramico guardando la televisione invece del panorama)

In più la scelta delirante della collocazione nel parco: dopo decenni di incuria e abbandono, il Valentino ha gradualmente recuperato il suo aspetto primigenio, di parco verde, con alcuni grandi interventi per le olimpiadi e una costante manutenzione successiva, malgrado i tagli di bilancio e grazie all’abnegazione dei giardinieri.
Sono ricomparsi i selvatici: uccelli di ogni genere, aironi, anatre, germani, folaghe, falchi e anche gabbiani e cormorani, che non sono proprio indigeni, ma fanno un bel colpo d’occhio. Gli scoiattoli (grigi, vabbè, e anche questa è un’altra storia, ma anche rossi) ormai fanno compagnia agli utilizzatori abituali del parco (studenti, residenti stranieri, cani e canari, anziani con e senza nipotini e/o badanti, corridori a piedi e in bicicletta, poliziotti a cavallo…) e ai turisti.
Già, perché notevole la quantità di persone con mappa della città in mano e aria vagamente spersa che frequenta il Valentino, proprio perché “parco verde” di quaranta ettari nel mezzo della città, un po’ come Central park o Hide park, per la sua tranquillità a poca distanza da monumenti, musei, negozi e ristoranti.
E il divertente, se facesse ridere, è che vogliono mettere una ruota alta come un palazzo di venti piani, ma infinitamente più fastidiosa, proprio “per attirare turismo e commercio” come ha dichiarato un dirigente dell’amministrazione locale, dove il turismo già c’è proprio perché non c’è fastidio.
Un’altra dirigente di partito ha scritto sul web che a lei “piacerebbe moltissimo lo skyline di Torino con la ruota”.

Lo skyline…

Ma quando impareranno a capire il vero significato delle parole e a inserirle nel contesto di ciò di cui parlano?

Lo skyline di Torino è la corona di montagne che la circonda, sono i cieli alla Turner che spesso ci godiamo al tramonto sullo sfondo del Monviso o di Superga, è la striscia di neve che la ricopre d’inverno.
E quello è solo lì, così.

La ruota della sfortuna, invece, la potete trovare ovunque, come i negozi di catena con cui hanno massacrato le vie dei nostri centri storici, tanto che se vi portassero bendati, dovreste chiedere dove siete, perché l’identità dei luoghi è stata spazzata.
E se una Tour Eiffel o una Mole Antonelliana, un Valentino o un Serpentine aiutano, una ruota di serie, modello R60 come altre cento nel mondo, aumenta solo il vostro smarrimento ( e voglio vederli i tremila delegati del congresso mondiale degli architetti di paesaggio, alcune delle più belle menti del settore, invitati con faticosa caparbietà dai nostri eroi a Cape Town, quando attiveranno in città nel 2016 e vedranno, nel parco della fotografia del manifesto, un ventilatore di sessanta metri. Forse qualche perplessità sulla nostra capacità di gestione del paesaggio ce l’avranno).

Perché questa è la svendita del territorio: non è un palazzo, una caserma, un poligono pieno di porcherie , è la svendita di un’identità culturale, di un luogo comune  di cui sentirsi parte, di cui magari aver voglia di avere un po’ cura, anche se non è la nostra città, la nostra nazione o il nostro continente.
Che ci regali una anche piccola emozione perché è lì ed è così, solo quello.

Ma il territorio ai tempi della crisi non si valorizza, si monetizza, un tanto al chilo.

E molti amministratori vivono questo stillicidio di pezzetti di storia con una rassegnazione che rasenta il cupio dissolvi, senza il cane di Umberto D.
Una sorta di Masada del terzo millennio, in cui, con la coscienza dell’approssimarsi della fine. si distribuisce il veleno ai viventi e si dà fuoco ai granai.


Filed under: Italia, Massimo Pizzoglio Tagged: ruota panoramica, Torino

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