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La cugina Angela si presentò con una specie di conchiglia capasanta piena a strabordare di insalata russa – disse lei che aveva iniziato a prepararla tre giorni prima, per farne una gran quantità bastevole per tutti - un blob di verdure lesse e maionese che nella sua intenzione doveva aprire lo stomaco, solo che poi la cugina si era fatta prendere la mano dall’estro creativo e l’aveva decorata con peperoni carote rape tutti a filetti sottili, una rete di riccioli barocchi che hanno trasformato il blob in quello che tutti avevamo sospettato fosse sin dal primo occhio, un cervello di capodoglio con le sue venuzze sopra.
Come inizio non c’è male, disse ad alta voce la zia Mimma, duecentoventi chili di trigliceridi e colesterolo tenuti insieme da una vestina a fiori sgargianti indecifrabili - quella è nata senza il minimo senso del gusto, per lei parmigiano grattugiato e segatura sono la stessa cosa – e lo disse con convinzione visto che lei aveva preparato una lasagna multistrato che gridava aiuto aiuto, mezza annegata nella besciamella (o colla vinilica?) nella teglia alta di alluminio dove alcuni piselli boccheggianti cercavano disperati di raggiungere il bordo. La lasagna lamentosa portò il silenzio tra i presenti, la zia Mimma la divise nei piatti in base al peso corporeo al mestiere al grado di istruzione di ognuno.
Fermi, lasciate un posto per il tacchino, si fece sentire la voce gorgogliante di Pietro, fidanzato trentennale di Marisa la figlia dello zio Nicola - anche Marisa non era più una sbarbatella, stavano insieme ognuno a casa propria dal primo anno di ragioneria – il tacchino lo aveva cucinato lui tutto intero con l’intenzione di svuotare il frigo prima di partire per le acque sulfuree, lo aveva farcito con carote mosce salumi secchi yogurt vicini alla scadenza croste di parmigiano dadi per brodo gambi di prezzemolo avanzi di verdure bollite. Il poveretto (il tacchino) sembrava avesse pranzato da poco, non stava nella pelle, perdeva della roba dalle fessure cucite male, uno scempio. La massa dei presenti si fece avanti con un oh di stupore in attesa che esplodesse, finalmente i botti di natale, dicevano i bambini, chissà se si sono salvati.
E adesso fatevi la bocca dolce, qui ci sono i maxi cannoli ai sette veli e il pandoro con uvetta e canditi per chi non ama il panettone. In quel momento ci voleva uno che fermava la zia Lucia con il vassoio in mano, a costo di farle uno sgambetto da sotto il tavolo, farle capire che non c’era posto, non ce la facevamo più, eravamo alla fine, il blob russo aveva vinto la lasagna aveva vinto il tacchino farcito di spazzatura aveva vinto, nessuno avrebbe trovato la forza di combattere anche contro i dolci. Io sollevai il tovagliolo da sopra le gambe, me lo passai sulla barba piena di besciamella vinilica lo legai alla coscia del tacchino mezza spolpata, intorno a me corpi e conati, sventolai la mia bandiera bianca.
In memoria mi mancano quelle due ore, tra lo sventolìo della bandiera e il risveglio sul lettino. Sono venuti a trovarmi tutti, la zia Mimma dice che è un virus che cammina e, se me la sento, domani mi porta un po’ di quella lasagna che mi è piaciuta tanto e devo riprendere le forze.
Raimondo Quagliana
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