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Per uno a cui piace scrivere, fare errori di ortografia è un bel problema. E non parlo degli errori di battitura, quelli che la smodata dimensione dei ditoni, anche se se ne usano solo due, o le atrofie provocate dall'artrosi deformante tipiche dell'età avanzata, sono facilmente identificabili e scusate, come il salto di lettera o la battitura del tasto viciniore, ma di quelli grassi, grossolani, che fanno rizzare i capelli anche agli illetterati e che fanno cadere le braccia al lettore più sprovveduto. Orrori più che errori, non ci sono dubbi, non leggerezze o sbadataggini. Altra cosa dalla sciatteria giovanile, di non mettere le maiuscole, i giusti spazi, una punteggiatura decente o addirittura le deprecate abbreviazioni da sms, che ti segnalano come appartenenza ad una categoria, di status se non di età. Ma possibile che 'sto tipo non sappia che ingegnere si scrive senza la i, vien subito da dire e tu perdi immediatamente la credibilità, vieni assimilato alla torma di ignoranti che dicono la Naik di Samotracia. Ebbene confesso, io sono tra questi. Certamente un incentivo a questo difetto genetico (mi illudo che sia così) è stato dato dai correttori automatici di cui sono corredate queste macchine infernali, grandi aiuti, ma incentivi ad una pigrizia mentale che aiuta a scivolare nell'oblio neuronico, catatonizzando le sinapsi che presiedono all'ortografia. Per fortuna che amici cari, si affrettano a segnalarmi almeno gli errori più appariscenti e vergognosi, quelli da matita blu per intenderci, i più delicati addirittura in forma privata per sottrarmi allo schiaffo del pur limitato pubblico. Io, vergognoso, mi affretto alla correzione, ma rimane in fondo un senso di caduta delle braccia, difficile da recuperare psicologicamente, che lascia un sapore di inadeguatezza che non fa piacere. Tra l'altro, non posso neanche accusare l'età e la distrazione derivata dalla naturale necrotizzazione dei collegamenti tra le aree cerebrali, perchè questo accadeva anche quando la mia testa doveva essere nella situazione migliore e più fresca. Non dimenticherò mai il mio primo tema (allora così si chiamavano) di quarta ginnasio. Si arrivava da scuole medie di buona qualità, con una valida palestra di latino. Il professor Calorio, che mi sembrava anzianissimo e di grande severità, aveva subito chiarito che le cose sarebbero mutate decisamente e che da noi si pretendeva un deciso salto di qualità, sia espressiva che di contenuti e subito nei primi giorni ci mise d fronte al primo compito in classe da svolgere sull'argomento: Perchè ho scelto il Liceo Classico. Mi arrabattai alla meglio e consegnato il mio foglio, attesi ansioso il verdetto che arrivò puntuale la settimana successiva. Il buon prof, entrato con passo lento e si sedette alla cattedra, posando con aria stanca e un po' delusa il mazzo di compiti. Poi iniziò un pistolotto su come in generale il livello medio degli studenti fosse caduto così in basso, non avendo trovato nei nostri lavori idee, forma e sintassi adeguata al luogo dove ci trovavamo. Su questo però, ci si sarebbe potuto lavorare, si poteva capire che dovessimo ancora maturare una capacità di scrivere che, se aiutata a crescere, sarebbe potuta arrivare ad un fine decente con il giusto esercizio, ma la cosa non ammissibile era che ci fossero ancora delle lacune pesanti sul versante della semplice ortografia. Cose da far rizzare i capelli, che da sole, metterebbero in ombra tutto il senso dello scritto, rendendolo ingiudicabile. Pensate, ci disse, che c'è addirittura uno, che mi ha scritto: "anchio" tutto attaccato, senza l'apostrofo, cosa che non solo deve essere sottolineato con la matita blu con doppio segno, ma circondato da quattro linee blu (la cosiddetta bara) e non voglio aggiungere altro. Così, tra brusii inorriditi, cominciò la distribuzione, mentre tutti si chiedevano chi avesse mai commesso quell'abisso di perversione. Quando fu pronunciato il mio nome, mi avviai timoroso verso la cattedra e, arrivatovi davanti, sentii su di me due occhi di bragia ed una voce stentorea che pronunciava il tragico verdetto: "Ah, e lasciò una pesante pausa di sospensione, eccolo qua il reo!" e mi scagliò di malagrazia il compito che le carcate correzioni della matita, tra cui spiccava la famosa bara blu, avevano reso un po' stazzonato. Nessuno osava parlare e mi avviai al posto con la testa bassa, senza tentare neppure una escusatio di facciata, seguito dalle occhiate in tralice di compatimento dei miei nuovi compagni che evidentemente mi stavano già catalogando tra gli ignorantoni. Nei cinque anni successivi, non ebbi mai un gran rapporto con la composizione di italiano, tanto è che alla maturità dove uscii con un inopinato sette, ottenuto grazie ad un orale magistrale (già premonitore del fatto che avrei poi vissuto di chiacchiera), lasciai stupitissima e anche un po' offesa la giovane professoressa di lettere che ci aveva condotto nella terza liceo, che non mi aveva in grande stima. Quindi per il futuro, faccio appello a voi, sapete che non è una mia colpa, ma un difetto genetico che non riesco a migliorare e ne sanno qualche cosa le mie deliziose ex-colleghe che provvedevano a bonificare i miei documenti, senza bacchettarmi troppo. Comunque, prometto, cercherò almeno di rileggere.