(…) Non ho mai conosciuto una persona così assolutamente tranquilla e ignara di quello che è bene fare nel proprio interesse. Davvero non ho mai incontrato nessuno che, da anni con una costanza tanto composta e silenziosa, radunasse tutti i suoi sforzi, esercitasse maggiormente il cervello e mettesse tutta la sua energia nell’elaborazione di un piano che lo portasse a un definitivo, completo fallimento della propria vita nel mondo. Non è che egli fosse sfortunato – tutt’altro – e nemmeno gli mancavano qualità di intelligenza, di simpatia e infine di cultura. Avrebbe potuto essere un vero signore, se, nascendo, non avesse portato con sé, da quel luogo misterioso da cui irrompono sulla terra uomini e animali, un sentimento delizioso e terribile: l’indifferenza e qualcosa di ancor più complicato: la semplicità. Tra queste due idee egli camminava da moltissimi anni: lui bambino esse furono bambine; lui adulto, divennero adulte. Lo proteggevano. Da che? Dalla vita io credo. (…)
Anna Maria Ortese, da un racconto pubblicato per la prima volta su “Illustrazione italiana” il 31 ottobre 1948