INFERNO (mondo “di sotto”)
Orvieto, ex chiesa S.Bernardo, P.zza del Popolo, 27.12.2015 – 6.1.2016
“Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno)
Si conclude ad Orvieto, con Inferno, il ciclo di mostre dedicate all’Anno Etrusco ed alla ricorrenza del 750° anno dalla nascita di Dante Alighieri.
Una coincidenza, una casualità? comunque un fil rouge che ha portato gli artisti coinvolti ad indagare sul “mondo di sotto”, tema così fortemente sentito dall’antichissimo popolo etrusco, tanto da individuare nell’isola Bisentina, la seconda isola del Lago di Bolsena ritenuta “sacra” dagli Etruschi, un varco per Agharti, la porta d’accesso con il regno sotterraneo. Una civiltà, tanto affascinante quanto complessa, ricca d’immaginario nei confronti dell’aldilà, quella dei popoli italici dell’Etruria, che alcuni letterati del Risorgimento italiano, ma ancor prima Giambattista Vico, che nel suo De antiquissima italorum sapientia del 1710 affermò per primo l’esistenza di una sapienza romana ed etrusca che aveva preceduto nel tempo le altre civiltà del bacino del Mediterraneo, civiltà a cui questi scrittori dettero il nome di Terra di Saturno, rifacendosi così all’Età dell’Oro di Saturno, della quale gli scrittori classici, sia latini che greci, avevano parlato. Quell’accesso dove, a distanza di secoli, Dante Alighieri nel mezzo del “cammin di sua vita” presumibilmente scese, fra i pochi prescelti, pronto a perlustrare quel regno sotterraneo, ed a riceverne quella particolare energia, detta VRYL, che nella maggior parte di noi c’è, ma è assopita, e quelle “conoscenze” di cui lascerà traccia nella “Divina Commedia”.
Un viaggio nell’aldilà, denso di significati simbolici, per rappresentare il desiderio dell’uomo di conoscere il proprio futuro e il proprio ruolo nel mondo e nella società e, insieme, di “vedere” quale vita ci attende dopo la morte.
Simboli universali, che ri-troviamo nelle interpretazioni artistiche in mostra : l’Italia, patinata d’oro poggiante sui carboni nella visuale di Vito Bongiorno, “nave senza nocchiere in gran tempesta” nella visuale di Vincenzo Illiano; il Saturno divinità romana dell’agricoltura nel mezzobusto in creta che realizzerà in estemporanea lo scultore Ruslan Ivanytskyy, Saturno-piombo, metallo pesante, materia greve e scura, che gli alchimisti muovono alla sintesi della ‘pietra filosofale’ (Oro) nel percorso di Eva Tarantello, ed ancora: l’ingresso di Agharti (Clara Calì e Françoise Weddigen), le Fluide fiamme (Alicia Herrero), Le fiere dantesche (Claudio Massimi), mentre Demoni si intravedono nei buccheri di Anna Spallaccia, e figure umane si muovono nella Danza della Taranta (Valerio Scarapazzi) o si ergono intimorite di fronte ad uno specchio (Valerio Villani), o “emergono e gridano” da quella pietra così cara agli Orvietani, il tufo, leggero, malleabile, poroso, misterioso, che le sapienti mani di Sara Spaccino sanno modellare per esprimere dubbi, angustie, paure; così come le “pietre” di Flavio Tiberio Petricca, seppur lavorate con materiali di ultima generazione (pece, siliconi), rappresentano un “centro”, un punto fermo da cui partire per un viaggio, da sempre ricerca del paradiso, del tesoro, del sè, in tutti i miti e riti. In equilibrio tra ordine e caos, tra senso compiuto e non, si interroga L’Aura con il suo Nonsense. (Laura Lucibello)
UFFICIO STAMPA APAI
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