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Orwell e i social media

Creato il 17 dicembre 2015 da Mcnab75

Orwell

Oggi vi propongo questa riflessione non mia:

Per ogni frase che scrive, uno scrittore scrupoloso dovrebbe porsi almeno quattro domande:
1. Che cosa voglio dire?
2. Quali parole sono in grado di esprimere il concetto?
3. Quale immagine o quale frase idiomatica lo renderanno più chiaro?
4. Questa immagine è abbastanza fresca perché possa avere effetto?

(George Orwell, La Politica e la lingua inglese)

Politics and the English Language è un saggio del lontano 1946, che si può riassumere in una sorta di critica all’asprezza della lingua inglese contemporanea, che è poi la madrelingua di Orwell stesso.
Sempre nel medesimo libro, il papà del Grande Fratello (che non è quello della Endemol, eh), afferma che la scrittura, al pari della politica, è un mezzo che serve a rendere vere, o verosimili, le menzogne. Se Orwell fa questa affermazione soprattutto in senso negativo, noi possiamo estenderne il significato e pensarla anche in altri termini.
Per esempio: cos’è la fantascienza, se non un modo di trasformare un’illusione in qualcosa di concreto e credibile?

Ma la citazione che vi ho riportato ha un’ulteriore chiave di lettura. Non a caso l’ho trovata su un saggio dedicato alla comunicazione via social.
In pratica i quattro punti di Orwell vengo attualizzati e consigliati a chi vuole realizzare un post promozionale via Facebook, Twitter o G+.
Solo che gli studiosi dei social sono dell’idea che oramai occorra accorciare il più possibile la parte testuale di un post, per dare spazio ad altri elementi vincenti: foto o video, hashtag, effetto sorpresa per coinvolgere il lettore.
Dagli studi di settore risulta che un tweet con tanto di foto integrata ha un successo del 94% superiore rispetto a un tweet testuale.

george orwell

Preso atto di tutto ciò, la mia domanda, che ripeto ciclicamente dal mio blog, è questa: ma la parola scritta ha un futuro di senso compiuto?
Articoli e post che vanno per la maggiore sul web sono battute o parodie che si limitano a spiritose dot-list, oppure semplici titoli a effetto, come quelli dell’arcinoto Lercio. Il tempo speso per “leggere” questo genere di post si aggira tra i tre e dieci secondi.
Nella maggior parte dei casi, già un articolo di circa 500 parole (che fino a poche settimane fa era lo standard di Plutonia Experiment) risulta spesso troppo faticoso da affrontare da parte di un navigatore “medio”.

A proposito – facciamo un passo indietro. Ricordate quando vi dicevo che, secondo Orwell, la scrittura è un sistema spesso utilizzato per sdoganare le menzogne? Ecco: forse non lo sapete, ma c’è un numero crescente di persone che prende per vere le notizie di Lercio, o dei siti parodistici o complottisti, come Imola Oggi (che definisco, senza timore di smentite, spazzatura).

Come vedete, il futuro distopico previsto da Orwell non è forse più inquietante della realtà che viviamo.


(A.G. – Follow me on Twitter)


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