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O.S. La festa dei limoni, di Marco Braico

Creato il 07 novembre 2011 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

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Recensione

O.S. La festa dei limoni, di Marco Braico

Giudizio 4/5

Marco Braico

La festa dei limoni
Il profumo della gioia di vivere 

Effatà editrice, 2011, pagg. 192

ISBN 9788874027354

Trama. Roberto ha dieci anni ed è il figlio di Gabriele Longo, professore di Matematica e Fisica che viene travolto dalla malattia. Insieme decidono di combatterla rivolgendosi alla loro passione per la matematica, alla gioia di vivere e all’amore. Si ride e si riflette molto, raggiungendo l’obiettivo di ritrovare l’allegria anche nella cattiva sorte e cercare di fare qualcosa di utile all’unico scopo di guarire. [Dalla quarta di copertina]

Scrittore. Marco Braico è nato a Torino nel 1968 e vive a Orbassano. Insegna Matematica e Fisica in un liceo scientifico e questo è il suo primo romanzo. E’ arbitro di serie A di pallavolo. [Dalla quarta di copertina]

O.S. La festa dei limoni, di Marco BraicoOsservazioni speciali di Patrizia.
Quando poter raccontare è un dono della vita.
Questo libro è entrato in casa mia grazie al consiglio di un amico, Emme (N.d.R. Non si tratta dell’autore). La reciproca stima ha colmato quel vuoto nel rapporto che spesso si crea nelle rispettive vite a causa dell’inesorabile trascorrere del tempo.
Emme mi ha contattato per avere un parere sul libro ed io mi sono detta che, visto l’affetto con cui ne parlava, doveva trattarsi di un progetto speciale.
Ho letto queste pagine in un paio di sere, seppur con difficoltà ho lasciato che il racconto mi prendesse per mano dettando il tempo della lettura al posto mio.
La difficoltà di cui parlo non è mai derivata dall’essere del libro. Un’opera dal linguaggio confidenziale, mai aulico, specchio di un mondo, quello dei professori e degli studenti, quello delle scuole superiori, dei licei, quello di una generazione che sta maturando.
E’ un linguaggio mai sopra le righe, ironico e a tratti allegro, che bene esprime quel rapporto umano, talvolta inconsapevole ed inaspettato, che si instaura tra allievo e maestro: un rapporto fatto di conflitti e di stima, di complicità latente e silenziosa, di non detto ma non per questo non trasmesso.
Un libro che, dal punto di vista dello stile della narrazione, scorre con fluidità, senza inutili ricercatezze, coinvolgendo il lettore, e che molto fa conoscere di colui che lo ha scritto e lo ha vissuto.
La difficoltà di cui parlavo è derivata dalla mia predisposizione.
Cinque mesi sono troppo pochi per rivivere, per ricordare ciò che si vorrebbe non fosse mai accaduto. Cinque mesi sono troppo pochi per risentire il suono di parole di cui si vorrebbe cancellare l’esistenza.
Difficile per me tenere tra le mani questo racconto, che più volte avrei voluto sbattere al muro, che troppe volte mi ha inondato l’animo come un fiume in piena.
Mi ero ripromessa di non leggere libri “di questo genere”, di lasciarli al “loro tempo”, al momento adatto in cui mi avrebbero parlato con più freddezza.
Al contrario La festa dei limoni mi ha parlato con tutto il calore e la brutalità di cui è capace: questo è ciò che generano libri di tale e tanta intensità, in cui i protagonisti in carne e ossa condividono la scena con la Malattia.
Mi sono così ritrovata ad osservare Gabriele Longo, professore di Matematica e Fisica al liceo, il cui viaggio comincia a Menton, inebriato dal profumo degli agrumi in un carnevale di colori e di profumi tra i banchi di un mercato borghese e poco economico.
Ho rivisto Luigi, mio padre, operaio specializzato che per quarantanni ha reso possibile la pubblicazione di libri, enciclopedie e riviste.
Ho ascoltato le parole di Gabriele ed i suoi pensieri lungo un cammino di disperazione, rabbia, accettazione, coraggio e speranza.
Ho ascoltato le parole di mio padre, ho riconosciuto i suoi pensieri attraverso quelli di Gabriele, pensieri difficili da accettare e da esprimere e per questo celati per non provocare dolore.
Ho asciugato le lacrime di Gabriele.
Ho asciugato le lacrime di mio padre che ancor oggi sento bagnare la mia spalla sinistra, abbracciati sul divano che era il suo: quanto è stata dura per lui farsi vedere così e per me consolare con le bugie quel pianto!
Ho percepito il malessere fisico di Gabriele, la sua riluttanza nel farsi visitare: non sarà niente!
Per mesi io non sono riuscita a convincere mio padre a fare una radiografia alla spalla dolorante!
Gabriele si è scontrato con il referto dei medici, con parole come tumore, chemioterapia, ricovero, tutto ciò che stride con il senso della vita.
E’ troppo lungo l’elenco di parole e sensazioni che per dieci mesi hanno raschiato l’animo di mio padre, e di tutta la famiglia, stridendo con la vita.
Gabriele ha lottato e sperato.
Mio padre ha lottato e sperato.
Gabriele si è sottoposto a cure invasive, devastanti quanto il male che stava combattendo, trovando la forza ed il sorriso solo lì dove lui sapeva di poterli trovare.
Mio padre ha fatto lo stesso, caparbio, cocciuto, egoista come solo la voglia di vivere e di farcela ti fa diventare, cattivo contro il mondo e tutto ciò che non è vita.
Quanto altro si potrebbe raccontare! Gabriele l’ha fatto, tra le lacrime e quella pungente ironia che è propria dei suoi studenti.
Gabriele ha raccontato la vita e la rinascita, ma soprattutto l’amore più grande: quello tra un genitore, in questo caso un padre, ed il proprio figlio. Ma non solo: quello tra lui, Gabriele-figlio, e sua madre.
Roberto, suo figlio, piccolo grande uomo, è riuscito ad arrivare là dove neanche i medici potevano arrivare: Roberto non ha avuto davanti a sé prontuari ed impegnativi volumi di medicina, ma l’amore simbiotico, primordiale ed irrazionale verso suo padre.
Gabriele ha potuto contare su quella fiducia incondizionata che solo i padri possono provare verso i propri figli.
L’intreccio di questi amori ha abbattuto quelle mura che la scienza non riesce a far crollare.
E’ proprio Roberto l’altro inconsapevole protagonista di questo libro, che non è un romanzo ma un’esperienza di vita.
Roberto è riuscito a fare ciò che tutti i figli vorrebbero: ha salvato suo padre.
Io non sono riuscita a salvare il mio, non sono riuscita a strapparlo alla morte pur tenendolo per mano, tirandolo a me, con tutta la forza che la disperazione sa concedere.
La festa dei limoni è un libro di speranza, intenso, che con la semplicità e la genuinità proprie dell’uomo qualunque, che non sa di essere scrittore, attraversa il lettore in un turbinio di emozioni.
Non manca il senso della battuta, la risata, la “ventata di gioventù e spensieratezza” portata dagli studenti, lo straordinario profumo dei limoni che sa di natura, di quotidianità e di casa.
Gabriele ha raccontato ciò che altri non possono più raccontare. E per questo ho invidiato suo figlio Roberto.
Nel mentre scrivo di queste vite, come spesso mi capita, ascolto la musica della radio che passa in sottofondo. Una vecchia canzone ora recita così “Strada facendo vedrai che non sei più da solo_Strada facendo troverai un gancio in mezzo al cielo_e sentirai la strada far battere il tuo cuore_vedrai più amore, vedrai“.
Gabriele ha trovato il suo gancio in mezzo al cielo e sicuramente ha sentito il battito della strada, della vita, pulsare più forte.
Gabriele non è mai stato solo nella sua lotta e, come lui, è necessario che non siano soli tutti gli altri pazienti che ogni giorno combattono per riprendersi la propria vita.
Per questo vi esorto con il cuore a comprare questo libro: “il ricavato - come recita la quarta di copertina - verrà utilizzato per l’acquisto di una strumentazione che consenta ai “pazienti malati” di vivere meglio la loro avventura.
Gli aggiornamenti sul progetto sono sul sito di La festa dei limoni.

“Avere il papà malato di Cancro uccide padre e figlio.” [p. 81]
“Quando ce ne andiamo, se siamo buoni d’animo, abbiamo le mani aperte perché vogliamo lasciare tutto quello che abbiamo alle persone che ci hanno voluto bene.” [N.d.R. Cercate questa frase nel libro e ascoltatene il battito]


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