Osama a chi giova

Creato il 19 maggio 2011 da Coriintempesta

Brzezinski e Osama bin Laden

Osama bin Laden è stato ucciso ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 Maggio 2011. È stato ucciso dal corpo speciale dei Seals statunitensi con un’operazione ordinata dal presidente americano. Tutto il mondo lo sa e le reazioni a questo evento sono state le più diverse. Ma questa morte ha cambiato qualcosa da qualche parte? Ha una qualche importanza?

La prima domanda che la gente si pone è se questa morte segnali la fine di al-Qaeda. Da qualche tempo è chiaro che al-Qaeda oggi non è un’organizzazione unica ma una specie di franchise. Ammesso che Osama comandasse direttamente qualche gruppo, comandava quelli in Pakistan e in Afghanistan. Ci sono formazioni autonome che si autodefiniscono al-Qaeda in altre parti del mondo e in particolare in Iraq, Yemen, e nel Maghreb. Gruppi che rendevano simbolicamente omaggio a Osama ma prendevano decisioni autonome.

Inoltre la potenza bellica e politica delle varie formazioni sembrava in fase di declino già da un po’ e questo non tanto per l’eliminazione dei capi di al-Qaeda ad opera degli Usa o di altri governi ma per via della sensazione diffusa presso gran parte delle altre forze islamiste che sia possibile raggiungere più obiettivi imboccando altre strade. La morte di Osama può ispirare qualche tentativo immediato di “vendetta” da parte di al-Qaeda ma è improbabile che rallenti il processo che ha reso al-Qaeda sempre più irrilevante sulla scena mondiale.

La morte di Osama cambierà la situazione in Pakistan o in Afghanistan? Il governo pakistano già tentennava prima: oggi negli Usa come in Pakistan si mormora in merito a quello che il governo pakistano sapeva, e da quanto tempo. La posizione ufficiale è che Osama viveva da circa sette anni in una villa attaccata alla più importante accademia militare senza che il governo ne sapesse nulla. Il governo sostiene anche di essere stato all’oscuro del raid statunitense, che ritiene una violazione illegittima della sovranità del paese.

Nessuno dei due argomenti è particolarmente credibile. Certo che sapevano dov’era Osama, o comunque alcuni ufficiali pakistani di certo lo sapevano. Com’è possibile il contrario? E naturalmente gli Stati uniti sapevano che il Pakistan sapeva e che non diceva. Fa tutto parte del rapporto difficile e ambiguo intrattenuto dai due alleati per gli ultimi dieci anni. La morte di Osama cambierà qualcosa in quel quadro? Ne dubito. L’alleanza continua a essere necessaria per tutte e due le parti.

Se poi i pakistani fossero o meno informati dell’imminente raid statunitense dipende dai pakistani di cui stiamo parlando. Ovviamente gli Usa volevano tenere segreto il raid a tutti coloro che nel paese avrebbero potuto interferire o avvertire Osama. Ma davvero nessuno sapeva? Sono emerse due prove del contrario. Un articolo uscito sul Guardian dopo la morte di Osama riferisce una conversazione tra ufficiali statunitensi e pakistani secondo cui l’ex presidente Musharraf nel 2001 avrebbe raggiunto con George W. Bush un accordo in base al quale si dichiarava anticipatamente d’accordo rispetto a un raid unilaterale contro Osama in qualunque momento venisse individuato a patto che i pakistani dopo lo denunciassero pubblicamente. Musharraf ora nega ma chi gli crede?

Altra prova, ancora più persuasiva: Xinhua, l’agenzia stampa cinese, ha pubblicato una notizia proprio il giorno della morte di Osama, riferendo le dichiarazioni di testimoni oculari: durante l’operazione nella zona era stata staccata la corrente, che di fatto è mancata per due ore prima dell’incursione – e questo non poteva che essere opera di un ente pakistano informato del raid imminente. E i cinesi hanno agenti segreti in Pakistan validi almeno quanto quelli che hanno negli Stati uniti. Dunque sembra plausibile che mentre alcune organizzazioni pakistane erano all’oscuro altre fossero informate. Sul versante statunitense, alcuni membri del Congresso si agitano all’idea che i pakistani sapessero che Osama viveva ad Abbottabad e di conseguenza vogliono tagliare o ridurre gli aiuti finanziari e militari al Pakistan. Ma questo naturalmente andrebbe contro la conservazione di un’influenza statunitense in Pakistan, ed è improbabile che si verifichi un vero cambiamento nei rapporti attuali tra i due paesi.

Quanto all’Afghanistan, è chiaro che già da qualche tempo i taleban avevano preso le distanze da al-Qaeda e da Osama, per poter perseguire il loro progetto di tornare al potere. La morte di Osama non potrà che rafforzare la loro posizione in Afghanistan, e accelerare il processo che condurrà alla cacciata degli Usa dal paese, cosa di cui le forze armate statunitensi in verità si rallegrano. Negli Stati uniti qualcuno dirà che questa “vittoria” dovrebbe permettere il necessario negoziato politico con i taleban. E alcuni che si opponevano comunque all’intervento statunitense sosterranno che non esiste più una minaccia plausibile a giustificare la permanenza delle truppe nel paese. Che questo sia uno scenario possibile si può constatare ascoltando il grido di angoscia levatosi tra gli elementi non-pashtun dell’Afghanistan del nord rispetto a entrambe le conclusioni.

Ma allora, l’uccisione di Osama fa una qualche differenza almeno negli Stati uniti? Sì, questo sì. Il presidente Obama, ordinando quell’operazione, ha corso un grosso rischio politico, soprattutto decidendo di condurla con i Seals invece che bombardando la residenza. Se qualcosa fosse andato storto lui sarebbe finito politicamente. Ma niente è andato storto. E tutti gli argomenti repubblicani sul capo debole, soprattutto in materia militare, sono stati confutati. Questo lo aiuterà alle prossime elezioni, non c’è dubbio. Però, come hanno osservato tanti commentatori, lo aiuterà, ma solo un poco. L’economia continua a essere la grossa questione interna della politica statunitense. E la rielezione di Obama e le prospettive elettorali dei democratici saranno influenzate soprattutto dalle questioni di portafoglio nel 2012.
E allora fa differenza la morte di Osama? Non tanta.

di: Immanuel Wallerstein

Traduzione di Maria Baiocchi

Il Manifesto


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