Ellen Degeneres
Si è conclusa da qualche ora, presso il Dolby Theatre di Los Angeles, la cerimonia di premiazione, condotta da Ellen Degeneres, relativa all’86ma edizione degli Academy Awards. Miglior Film è risultato 12 anni schiavo, di Steve McQueen, cui sono state assegnate anche altre due statuette: una va a Lupita Nyong’O, Miglior Attrice Non Protagonista, l’altra a John Ridley, Miglior Sceneggiatura non Originale. Ma a trionfare è Gravity: al premio per la Miglior Regia andato ad Alfonso Cuarón, vanno ad aggiungersi le pressoché scontate vittorie nei vari settori tecnici (Fotografia, Montaggio, Colonna Sonora, Miglior Sonoro, Miglior Montaggio Sonoro, Effetti Speciali). Niente da fare per Leonardo DiCaprio: alla sua interpretazione di Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese (tra i grandi esclusi dal novero dei vincitori, insieme ad American Hustle, di David O. Russell ) l’Academy ha preferito quella offerta da Matthew McConaughey, Ron Woodroof in Dallas Buyers Club di Jean-Mark Vallée, che conquista anche il premio come Miglior Attore Non Protagonista, Jared Leto, e quello relativo a Miglior Trucco e acconciature.
Cate Blanchett è la Miglior Attrice Protagonista (Blue Jasmine di Woody Allen), mentre Spike Jonze ottiene l’Oscar per la Miglior Sceneggiatura Originale (Her). Miglior Film d’Animazione è Frozen – Il regno di ghiaccio (Chris Buck, Jennifer Lee).
Lupita Nyong’O in una scena di “12 anni schiavo”
Infine, a 15 anni dalla vittoria di Roberto Benigni con La vita è bella, l’Oscar per il Miglior Film Straniero torna a parlare italiano, grazie a Paolo Sorrentino e al suo La grande bellezza, un’attestazione internazionale che, come ho avuto modo di scrivere già in precedenti articoli, evidenzia in primo luogo la sempre vitale capacità del nostro cinema, a volte, per non dire spesso, mortificata da poco felici scelte produttive e, soprattutto, distributive, di mettere in scena delle opere forse diseguali nella loro resa complessiva, ma comunque idonee ad offrire un respiro più ampio, valide anche al di là dei nostri confini. In seconda analisi, La grande bellezza, scritto da Sorrentino insieme a Umberto Contarello, costituisce l’ulteriore affermazione di un autore abile ad imprimere alle proprie opere un notevole fascino a livello visivo, grazie ad immagini felicemente intarsiate (la fotografia di Luca Bigazzi), nella loro sfrontata scomposizione giocata sull’alternanza fra carrellate e primi piani di persone, luoghi, oggetti, unite da una pregevole colonna sonora (Lele Marchitelli).
Toni Servillo e Paolo Sorrentino
Fra qualche insistito estetismo ed una certa ridondanza verbale, in particolare a livello di citazioni letterarie, a volte troppo didascaliche, La grande bellezza si delinea come un affresco a suo modo geniale e spietato, un ipnotico susseguirsi di toni grotteschi, surreali ed intimisti, un’ “umana commedia” volta a rappresentare la decadenza propria di una determinata classe intellettuale, rappresentata dal protagonista Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo, splendida maschera sospesa tra disincantato cinismo e poesia.
E’ lui, novello Virgilio, ad accompagnare Sorrentino/Dante nella visualizzazione di un mondo in cancrena, alla ricerca di un minimo di conforto e ritrovata, primigenia, purezza. Un film che sin dalla sua presentazione, in concorso, al 66mo Festival di Cannes, si è rivelato capace di sorprendere e spiazzare e, ancor di più dopo questo ulteriore riconoscimento, destinato a convivere, almeno sino alla definitiva consegna ai posteri (il tempo può essere galantuomo, anche in campo cinematografico), tra estimatori e detrattori a contendersi il campo in eguale misura e pronti a sfidarsi a singolar tenzone, anche se, è cosa nota, la vittoria, in particolare nel nostro Bel Paese, ha sempre avuto molti padri e in tanti si affretteranno a salire sul carro dei vincitori. Di seguito, l’elenco dei premi assegnati.