Osservatorio LitBlog n. 34

Creato il 31 ottobre 2014 da Letteratitudine

(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)

a cura di Francesca G. Marone

Calvino non basta mai
(da minima et moralia)

Non sono mai abbastanza le riflessioni e le letture su lui e sulla sua vastissima opera, perciò ho letto con estremo interesse il pezzo su Calvino che vi segnalo. Spesso quando parliamo di scrittura troviamo l’espressione “creativa” accanto alla parola che designa l’atto dello scrivere, cosa in particolare creiamo quando immaginiamo e quando traduciamo ciò che sentiamo dentro di noi in storie? Forse partiamo da ciò che conosciamo di più, dalle vite che ci sono dentro ed accanto, dalle cose che vediamo e dalle emozioni che noi stessi proviamo. Siamo certi di creare qualcosa in questo modo?Potremmo anche dire il contrario, cosa distruggiamo quando scriviamo? Calvino tentava di distanziarsi dal sé più intimo, diventare leggero, farsi altro da sé. Tuttavia in quel tentare una distanza nel percorso di una ricerca di assoluta oggettività c’era il trovare la parte più autentica di se stesso. E forse quella di chiunque poi avesse letto le sue parole. Severo sempre con se stesso, puntuale nelle revisioni, attento nella riscrittura, ci svela ancora segreti affascinanti ed utili sulla sua scrittura e su di lui.
Per saperne di più leggete qui…

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Il giudizio collettivo come condanna
(da Lipperatura)

Mi colpisce particolarmente questo articolo, perché parla di donne, di bellezza, di influenza mediatica, di cattiveria, di accerchiamento e di emarginazione. Forse dell’immensa paura di invecchiare e di non saper più rispettare se stesse, con amore e gentilezza. Come possiamo rispettare le altre donne se non proviamo rispetto autentico per la nostra persona? E qual è il “limite” da non oltrepassare nel perseguire il tema dell’eterna giovinezza?Davvero la nostra incapacità di non dare giudizi lapidari sull’aspetto fisico di altre donne ci condiziona al punto dal non vedere più che dietro le labbra, i seni, le mani ci sia una persona, un individuo con tutta la sua intoccabile identità e dignità di essere umano? Sì, lo confesso, talvolta mi son sorpresa a dichiarare ad alta voce che tale signora dello spettacolo avesse esagerato con il ricorso alla chirurgia estetica trasformando il proprio volto in un viso da bambola. Posso non condividere alcune scelte femminili ma resto consapevole della personale libertà di scelta di cosa farsene del proprio corpo, sia da vivi che da morti. Soprattutto resto profondamente offesa dalla facilità di fare corpo unico nella cattiveria più bieca, accerchiando la vittima, sicuri che lei sia nell’errore e noialtri sempre e per sempre nel giusto.
Se avete voglia di approfondire e di porvi qualche interrogativo sulla questione, leggete qui…

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Compatire l’umana sofferenza
(da Doppiozero)

L’immagine ha una sua potenza, nel bene e nel male, dipende dall’uso che ne facciamo con noi stessi, con le nostre sensibilità, i nostri sensi tutti, dipende dal rispetto con cui ci approcciamo a scrutare la vita che trasuda nei gesti apparentemente fermi di una fotografia. Questo mondo oggi ci stordisce, ci rapisce in un turbine di immagini e nella velocità del nostro assorbimento di quelle visoni che non hanno tempo di entrare dentro e di toccare le corde più profonde. Non tutte però. Non per tutti coloro che le osservano. Soffermatevi sulle meravigliose immagini di questo articolo, sulle parole sapienti usate per raccontare come lo sguardo di un fotografo autentico trapassa lo strumento e le abilità tecniche per porgerci la vita in ogni suo aspetto e palpito. E proviamo tutti insieme quel sentimento che pian piano sta quasi scomparendo far noi: la compassione. Senza anestesia al dolore o alla disperazione, riappropriamoci del diritto sacrosanto di patire con qualcun altro, di soffrire insieme a lui. Condizione necessaria per sentirci nella specie umana e poter comprendere il senso della felicità.
Per chi volesse ammirare le foto e leggere il pezzo, andate qui…

Francesca G. Marone


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