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Osservazioni sulla critica, sugli scrittori e anche sull’editing e altre sciocchezze

Creato il 13 novembre 2010 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Osservazioni sulla critica, sugli scrittori e anche sull’editing e altre sciocchezze
1. Poteva decisamente risparmiarsi Roberto Saviano d’incensare i Wu Ming per “Manituana” – libro che non ho letto, tanto per capirci. Ma la recensione che ho letto suona falsa, anche a chi non sa niente circa i meccanismi editoriali.

“La capacità dei Wu Ming risiede in una scrittura in grado di saccheggiare slang, deformazioni linguistiche e capacità di descrizione. Non è mai piana la scrittura. Bisogna essere addestrati alla maratona per apprezzare le oltre 600 pagine di ‘Manituana’, ma il fiato lungo vien leggendo in un percorso che sembra a spirale, una volta entrati, se si decide di entrare, difficilmente se ne esce fuori. Non c’è inizio non c’è termine. […] Manituana è un’avventura tra esodi, battaglie, baronetti inglesi, indiani che leggono Diderot tra boschi, avventurieri simpatici, gang di strada, pirati, generazioni e contraddizioni insolvibili che trovano in qualche idea una forma di sintesi. […] ‘Manituana’ non è soltanto una narrazione di ciò che poteva essere, ma è una cartografia del possibile, uno strumentario letterario attraverso cui si può smontare il congegno della Storia, una capacità che può essere alimentata solo attraverso la necessità di stare dalla parte sbagliata.” (Roberto Saviano, Io sto con gli indiani, L’Espresso)

I Wu Ming recensiscono “Gomorra”, Saviano “Manituana”: si scrivono i libri da sé (?) e se li commentano e se li criticano. Ne esce fuori un panorama desolante: tutto sarebbe buono e più che buono. Una mitizzazione dei libri, degli autori che si fanno pure critici acritici. Pericolosa non tanto per i potenziali lettori, sempre più disgustati e rivolti ad altre forme espressive che non siano i libri, quanto per l’editoria…

2. Da sempre sono contrario alle recensioni (è poi giusto chiamarle così? – io le chiamerei diversamente, perché non le accolgo affatto come un atto critico, essendo che l’essenza è quella d’una evidente pubblicità) operate da scrittore a scrittore, da amico ad amico. Perlopiù le leggo per ridere, in attesa della nuova stagione di Zelig. Questo per dire: una recensione di Saviano ai Wu Ming su di me ha un effetto uguale a zero, anzi negativo, perché mi mette il pregiudizio. Precisiamo, cioè i soliti puntini sulle “i”: qualunque scrittore parli di un altro scrittore, bene!, io diffido degli scrittori che dicono dell’amico scrittore e diffido anche dell’amico scrittore che dice dello scrittore. Oggi che più di ieri il libro è un prodotto, uno scrittore che dica male di un amico scrittore, dove? che ne dica con ragione critica?

3. E’ prassi consumata che gli scrittori si recensiscano fra loro, non lo metto in dubbio. Dico solo, molto semplicemente, che questa pratica non mi piace, una moda venuta fuori soprattutto negli ultimi anni. E’ che si spreca tanto incenso. Al pari odio le fascette promozionali e altri ammennicoli così, anche se sono la prassi di editori, di uffici stampa. Nel mio piccolo, da uomo libero, vedo di combattere queste bullshits: gli ammennicoli intendo. E sono sempre pronto a stroncare amici e nemici: ciò spiega forse perché alcuni amici sono passati dall’altra parte per essermi nemici giurati. Ma a me piace così. L’incenso non mi piace: sono allergico.

E nel caso, comunque assai improbabile, che i Wu Ming e Roberto Saviano si fossero stroncati vicendevolmente, be’, il discorso da me fatto non sarebbe cambiato d’una virgola. Io, che sono un sempliciotto, ci avrei comunque visto della falsità. Il pezzo di Saviano mi suona falso, cioè “pubblicitario”: d’altro canto i Wu Ming hanno fascette con su scritto “dagli autori di Q” o qualcosa del genere, tazebau, pubblicità… altro che passaparola! C’è stato un lancio pubblicitario senza precedenti per questo libro. Lo capisce anche lo scemo del villaggio. Che i Wu Ming abbiano capito che la pubblicità è l’anima del libro oggigiorno? Mah. Forse sì, ma chissenefrega in fondo: il tempo saprà dire molto meglio di me quali saranno i libri da ricordare e quali invece no: e in parte il giudizio inesorabile del tempo ha già tagliato fuori dalla storia tantissimi millantati capolavori.

4. Brevissimamente: il fenomeno delle recensioni operate da parte di scrittori verso altri scrittori è diventata più marcata negli ultimi dieci anni. Ieri, almeno a mio avviso, se gli scrittori si recensivano fra di loro, e non dico di no, lo facevano con maggior senso critico, a volte con genuina cattiveria. Che dire di un Oscar Wilde proprio wild che si scaglia contro la traduzione della sua Salomé? Oggi mi sembra che gli scrittori tendano a dire bene di qualsiasi loro collega, purché scrittore per vocazione o perché sulla carta d’identità. Ieri questo fenomeno, se c’era, era molto meno marcato ed evidente. Insomma, oggi, poco spirito critico e tanto buonismo, forse anche sincero, forse indotto, ma nella sostanza rimane buonismo.

In quanto alle fascette, che trovo ridicole per qualunque scrittore, nessun scandalo: dico solo che per promuovere “Manituana” si è ricorsi a riesumare “Q” e il nome Luther Blissett a sigillo di garanzia del prodotto. Poi, le fascette io le uso per farne dei segnalibri e le conservo pure. Qualche volta un libro diventa importante per la copertina, almeno tra i bibliofili più che per i contenuti. Quindi meglio trattare bene tutto il libro-prodotto.

In conclusione: “Ovviamente la situazione ideale è quella in cui l’opera proposta all’editore è tale, che l’editore può solo fare un inchino di rispetto” (pensiero espresso da Giulio Mozzi all’interno d’un’intervista a cura di Giorgio Vasta su Nazione Indiana 2.0)

Con quale metro, perché uno scritto dovrebbe essere una “opera” e un altro invece no?

Chi bocciò “Il Gattopardo” allora, che razza di editor fu? Capolavoro rifiutato da Mondadori e da Einaudi… Dobbiamo ringraziare Giorgio Bassani se Giuseppe Tomasi di Lampedusa è stato pubblicato, infine, per i tipi Feltrinelli. Elio Vittorini si è rivelato davvero poco accorto e intelligente, almeno con il principe Giuseppe Tomasi; ma Vittorini, almeno per me, non è mai stato un grande scrittore, solamente modesto e anche meno. E che dire di “Se questo è un uomo” di Primo Levi? Il romanzo fu rifiutato sempre da parte di Einaudi, per essere pubblicato in tiratura limitatissima da De Silva, e poi solo nel 1958 Einaudi si decise a stamparlo… Di esempi così ce ne sono troppi, quindi mi limito a questi due che mettono bene in evidenza la totale cecità di certi editor, sédicenti scrittori-critici, editori.

Io ho l’impressione che è tutta una trattativa fra editor e scrittore l’editing secondo Giulio Mozzi. In pratica: se si arriva a un compromesso fra le parti allora si va in stampa. Non mi piace affatto.

Si scrive per i posteri, se si ha interesse a creare. Se si ha solo interesse a scrivere per un poco di racimolata fama, per i famosi 15 minuti e un po’ di danè, allora è un altro paio di maniche. Ma chi sceglie di scrivere per i 15 min. e i danè non s’illuda di arrivare ai posteri.

Frank Kafka, ad esempio, è arrivato a noi, che siamo già i posteri. E’ già tra gli immortali, nonostante in vita abbia ricevuto poca o nulla attenzione. E uguale discorso per tanti altri autori classici.

Ha poco senso, direi uguale a zero, scrivere tanto per fare un lavoro come un altro. Inoltre, tanti sédicenti scrittori meglio sarebbe che prestassero le loro braccia all’agricoltura o ad altra attività manuale. Per fortuna, il tempo inesorabile imparziale giudice ha già spazzato via tanti e tanti capolavori detti così dagli uomini. E nulla memoria ne è rimasta. Quindi pubblicare oggi e non rimanere nella memoria di almeno un paio di lettori il prossimo anno, perché già dimenticati in qualità di autori (scrittori), è come non aver pubblicato: quindi il libro non è più.


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