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Osteoporosi: considerazioni psicosomatiche

Creato il 04 gennaio 2016 da Informasalus @informasalus

osteoporosi
L’osteoporosi è una malattia metabolica dello scheletro nella quale l’osso presenta una riduzione della massa e della densità

Lo scheletro sostiene il corpo (statica), contribuisce in maniera determinante a configurarne la forma e, nello stesso tempo, garantisce la possibilità di esecuzione dei movimenti (dinamica) offrendo alla sollecitazione la resistenza intrinseca necessaria per il movimento efficace. I singoli segmenti ossei sono i punti fermi, i riferimenti necessari all’inserzione dei muscoli, reali attori del movimento. Il movimento del corpo nello spazio richiede che la forza (muscoli), opportunamente orientata (articolazioni), si esplichi su di una struttura solida (ossa).
La stabilità dello scheletro è assicurata dal mantenimento della massa ossea, subordinata a un ritmico e continuo processo di rimodellamento, che implica la plastica alternanza di processi di neoformazione ossea e di riassorbimento. Se il riassorbimento non viene compensato dalla neoformazione, la massa ossea si riduce e, se lo squilibrio tra neoformazione e riassorbimento si mantiene a lungo, la perdita di sostanza ossea diviene tale da rendere l’osso inadeguato a resistere alle forze meccaniche cui è normalmente sottoposto e si verifica una frattura.
L’osteoporosi è una malattia metabolica dello scheletro nella quale l’osso non presenta alterazioni qualitative dei componenti o anormalità della sua composizione chimica, ma una riduzione della massa e della densità.
In realtà, col procedere dell’età, la massa ossea, in maniera naturale, si riduce progressivamente: in chiave simbolica il corpo tende ad alleggerirsi, non ha più bisogno di una struttura massiccia, perché avanzando nella vita anche le necessità cambiano e gli interessi si spostano da un’attività esterna a una interiore. Non c’è più tanto bisogno di appoggiarsi sulle ossa fisiche; appare piuttosto necessario trovare un sostegno alla struttura interiore (1). L’aspetto patologico emerge allorché, in corrispondenza di momenti critici, si manifesta un’accelerazione di questo fenomeno.
La comparsa della malattia è piuttosto frequente, in epoca attuale, in occasione della menopausa e questa circostanza ha suggerito una responsabilità eziopatogenetica nella ridotta produzione di estrogeni. La capacità degli estrogeni di prevenire la perdita ossea sembra suffragata da dati clinici e sperimentali, ma è altresì noto che tra le donne affette da osteoporosi vi è una maggiore incidenza di fumo di sigaretta, che potrebbe avere un effetto diretto sul rimodellamento osseo o degli effetti secondari sulla funzione ovarica (2); così come l’eccessivo consumo di alcool, l’assorbimento intestinale di calcio deficitario, un apporto eccessivo di acidi (che può aumentare la funzione osteoclastica) sotto forma di dieta a elevato contenuto proteico e una sintesi insufficiente di vitamina D idrossilata (secondaria a disturbi paratiroidei e/o renali) sono tutti fattori di rischio per l’osteoporosi. È inoltre importante segnalare che il rimodellamento osseo è sollecitato dalle forze meccaniche che agiscono sull’osso stesso, tanto è vero che la prima risposta all’immobilizzazione nello scheletro normale consiste in un aumento del riassorbimento. È possibile quindi che la sedentarietà aumenti globalmente la perdita ossea.
L’interpretazione psicosomatica assume allora maggior forza dalla considerazione che numerosi aspetti comportamentali interferiscono con la comparsa della patologia. È possibile una mediazione ormonale diretta, in accordo con gli studi di Psico-neuro-endocrino-immunologia, ma la responsabilità di un conflitto psicologico che sostiene la patologia è verosimile. L’aspetto più evidente è, sul piano analogico, la compromissione della funzione di sostegno, correlabile con l’idea dell’invecchiamento di cui la menopausa è un marker inconfutabile. È la transizione inaccettata, il rifiuto della progressione ineluttabile del trascorrere biologico che può innescare il processo. D’altra parte la patologia non è esclusivamente femminile, si riscontra anche nei maschi, prevalentemente nell’età avanzata, spesso in corrispondenza con il pensionamento, un’altra condizione di vulnerabilità accresciuta.
Prende forza l’idea interpretativa di una relazione con l’inattività. L’attenuazione o la perdita di alcune capacità, come ad esempio quella riproduttiva con la menopausa o quella lavorativa col pensionamento, viene vissuta come un minus fisico, una perdita di “sostanza” e la perdita di sostegno della propria attività. Ecco che il soggetto si sente abbandonato a se stesso (3), perdendo il sostegno perde contatto con la terra, con la materia e si disancora dalla situazione terrena volgendosi a contesti più rarefatti. Il sostegno fisico del corpo traduce in sé questa perdita di sostanza, di materia, questa rarefazione: l’osso diviene meno denso.
L’inattività non è effetto dell’inadeguatezza della propria aggressività nei confronti dell’esterno (4), né del ritenersi inadatto allo sforzo richiesto dall’ambiente (5), bensì è data dalla rassegnazione conseguente alla non accettazione del cambiamento intrinseco della corporeità.
I distretti prevalentemente colpiti sono piuttosto indicativi. Innanzitutto la colonna vertebrale, asse centrale del corpo, riferimento principale alla postura e responsabile della stazione eretta: il mantenimento della propria posizione nel mondo. Il bacino, struttura di collegamento della colonna con gli arti inferiori, quindi con la progressione verso il futuro, oltre che contenitore degli organi pelvici, che assicurano una continuazione metaforica attraverso la generazione. La porzione distale del radio, nella regione dell’avambraccio, collegamento con il principale organo di interazione con la realtà (la mano) e luogo di sopportazione dello sforzo manuale, nonché zona preferenziale per la ricerca di appoggio quando di questo si sente il venir meno: a questo proposito appare eloquente l’interpretazione della frattura di Colles.
È evidente che l’intervento su questa patologia ha molto più successo in ambito di prevenzione che non in quello terapeutico in senso stretto. Un adeguato sostegno psicologico facilita l’instaurazione e il mantenimento di quei comportamenti (alimentazione corretta, attività fisica ecc.) che si oppongono alla rassegnazione e che rinforzano la variegata espressione di sé nei momenti diversi della vita.
Bibliografia
1 Dahlke R., Malattia linguaggio dell’anima, Mediterranee, Roma, 1996: 197.
2 Harrison, Principi di Medicina Interna, McGraw-Hill Italia, Milano, 1992: 2553-2559.
3 Zanardi A., Il linguaggio degli organi, Tecniche Nuove, Milano, 2001: 148.
4 Scuotto A., Cavo orale: considerazioni psicosomatiche, in Curarsi con la Naturopatia vol. 2 (Salute del cavo orale), Edizioni Enea, Milano, 2010.
5 Scuotto A., Stanchezza cronica: considerazioni psicosomatiche, in Curarsi con la Naturopatia vol. 2 (Stanchezza cronica), Edizioni Enea, Milano, 2010.
Tratto da “Curarsi con la Naturopatia vol.2” di Catia Trevisani


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