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Otranto e le antiche leggende: il vecchio venuto dal mare

Creato il 26 agosto 2013 da Cultura Salentina

26 agosto 2013 di Vincenzo D'Aurelio

Otranto:Chiesa di San Pietro, affresco bizantino

Otranto:Chiesa di San Pietro, affresco bizantino

Capita di sentirsi affascinato da luoghi verso i quali senti un’attrazione inspiegabile.

Possono non essere posti di particolare interesse, potrebbe trattarsi di vicoletti antichi e anonimi con case a corte, chiesette spoglie, stradine col basolo di selce, pustali di cisterne, piccoli larghi, pile e tutto ciò che generalmente si considera di poco valore.

Non saprei dire se si tratti solo di un’attrazione per la ruralità oppure se sia una mia predilezione verso la semplicità e la genuinità del mondo contadino ma certamente sono stato influenzato dalla convinzione che in queste umili borgate si celasse la storia delle mie origini familiari. Cosa questa che qualche anno fa ho potuto confermare.
 
Ogni centro antico nel suo borgo nasconde questi pezzi di storia ma in particolare quello di Otranto mi seduce più di altri. Molte volte ho scrutato nel borgo idruntino i pregevoli intarsi barocchi delle case, gli stemmi delle nobiltà locali e, in particolare, le epigrafi urbane che furono tanto in voga tra il ‘600 e il ‘700. Queste iscrizioni riportano motti ripresi dalla saggezza popolare, aforismi dei poeti classici ma più spesso, e specialmente nelle chiese, ricordano eventi locali di straordinaria importanza storica. Sono proprio i contenuti di queste epigrafi a porre dei tasselli importanti ed utili alla ricostruzione della microstoria locale.

Gianfranco Budano: Welcome to Byzantine Empire (Canon EOS 400D - EF 17-40)

Gianfranco Budano: Welcome to Byzantine Empire (Canon EOS 400D – EF 17-40)

La chiesa di San Pietro in Otranto è una splendida testimonianza del VII sec. d.C. e qui un’epigrafe posta sul lato destro della gradinata, che propongo tradotta, riporta inciso nella lastra di pietra leccese: Qui Pietro predicò per la prima volta Cristo agli occidentali. La straordinarietà di quest’affermazione, nostro malgrado non pienamente confermata da fonti documentarie certe, porta il Salento a fregiarsi del titolo di primate della cristianità ma ad oggi essa è considerata solo una leggenda locale. Tuttavia il suo racconto rappresenta un elemento caratteristico dell’identità storica di questo paese e forte di questo pensiero, forse anche un po’ partigiano, mi misi a cercarne il testo che con gran fortuna era inserito in una raccolta napoletana dell’Ottocento col titolo “Il vecchio di Otranto”.

Narra la leggenda che nell’anno 46 d.C. si celebrava di mattina in Otranto una festività pagana. Era tipico in queste occasioni vedere la gente saltare sopra i fuochi accesi per tutta la città. Uno di questi incendiò un edificio e le fiamme, con l’aiuto del vento, si propagarono in tutta Otranto cosicché la festa si trasformò in tragedia. La gente scappava e per le strade si udivano i vagiti dei neonati, le strida delle donne, il lamento dei vecchi e dei malati, i versi degli animali spaventati dal fuoco. Ovunque le fiamme seminavano morte e distruzione. Dall’approdo marittimo si vide avanzare verso la città un vecchio dall’aspetto sereno e venerando con la testa calva. I suoi modi erano onesti e sicuri e tutti quelli che lo incrociavano gli suggerivano di fuggire ma non dava ascolto e procedeva dritto verso le fiamme. Molti incuriositi dal suo procedere lo seguirono e giunto nel punto in cui l’incendio mostrava la sua più forte intensità, alzò le mani al cielo e con tono imperioso ordinò al fuoco di fermarsi. L’incendio cessò e la popolazione, visto il miracolo, urlò di gioia inneggiando al nome di Giove ed altre divinità. Il vecchio a tali acclamazioni rispose: non sono un Iddio dei falsi e dei bugiardi che voi adorate, o miei figli, ma bensì un semplice mortale, servo e seguace dell’unico e vero Dio che discese sulla terra a vestirsi delle nostre miserie, e a patire tali travagli, a petto dei quali ogni altra pensa è nulla. In nome di questo Dio ho in oggi io umile suo servo, e indegno peccatore comandato al fuoco ed operata la vostra salvezza. Possa Egli estendere la sua misericordia fino alle anime vostre, ed improntarle al suggello di Gesù Cristo. Quando gli astanti capirono che era un cristiano uno di essi gli chiese chi fosse e allora il vecchio rispose che veniva dalla Giudea e fu pescatore sino a quando, un bel giorno, passò li appresso Gesù e lo chiamò dicendogli vieni voglio farti pescatore di uomini, e lui lo seguì. Gli otrantini essendo pagani non sapevano chi fosse Gesù e così Pietro parlò a quella gente della Venuta, della Passione e della Resurrezione di Cristo. Malgrado fosse notte fonda tutti continuavano a  pendere dalle labbra di Pietro ed egli continuò a parlare sin quando non furono tutti convertiti. La popolazione chiese allora di essere battezzata e così fu fatto il mattino del giorno seguente. San Pietro, nel luogo dove convertì e battezzò il popolo di Otranto, costruì inizialmente un altare e celebrò messa poi qui stesso si edificò una cappella a memoria della venuta dell’Apostolo. Da quel momento Otranto divenne una città cristiana.

Il contenuto della leggenda è un chiaro riferimento ai viaggi petrini e cioè ai viaggi che l’Apostolo compì per portarsi a Roma ma se volgo lo sguardo al mare e penso alla storia narrata non mi è più necessario conoscere le verità celate nel racconto. Nello splendido azzurro otrantino ora non c’è più il vecchio Santo ma ci sono gli immigrati che sino a qualche anno fa su questi lidi trovarono un porto sicuro. L’accoglienza salentina di quei giorni è sempre la stessa da secoli, come per gli albanesi così per San Pietro, e vedo ancora in questo mare la famosa porta d’Oriente che non generò il razzismo di oggi ma la fonte viva e inesauribile della cultura alla quale la civiltà del nostro Salento è stata ammaestrata. Volgo allora lo sguardo verso sud, in direzione di quel mare di Lampedusa che guarda alla Libia come noi all’Albania e alla Grecia, e penso: quando arriveranno?

Il testo della leggenda è tratto da:

T.A. DE FELICI, Leggende e Tradizioni Patrie, Vol. I –  Stab. Tip. N. Porcelli, Napoli 1855.


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