Ottiero Ottieri (1924-2002)
Ottieri ci parla, correttamente, delle diverse forme che assume oggi l’esigenza di mutazione dei rapporti esistenti nella società, ma non dei possibili traguardi o modelli di tale esigenza; ci parla dell’impulso all’utopia, non di un suo qualsiasi disegno. Questo dichiarato, lucido ed estremista soggettivismo crea nel libro una dimensione onesta, e nel personaggio una gradevole novità. Rispetto ai suoi innumerevoli confratelli letterari, questo protagonista di Ottieri è, finalmente, un dichiarato Narciso:individuato, messo a fuoco; e naturalmente, sofferto. Nel libro di Ottieri ci sono parecchie cose opinabili, e alcune anche che mi sentirei di respingere. Esso è fondato tutto sul presupposto che il marxismo sia stato assorbito come una necessità nella nostra cultura, e che la psicoanalisi sia il più moderno strumento d’analisi sull’uomo. L’arte sembra all’autore “indifesa di fronte alla distruzione dell’autoconsapevolezza” e viva solo sul filo dell’azzardo della sua lotta con la ragione. Il “male” non è più di natura morale, ma psichica. Si tratta, in questi casi ed in altri, di argomentazioni molto attuali ma difficilmente verificabili; e c’è una certa facilità, nell’autore, a liquidare come “retorica” aspetti ancora largamente problematici del sentimento contemporaneo. C’è detto in breve una certa indulgenza verso lo snobismo. Tuttavia, alla fine del libro (e questa è un’altra conferma della sua creatività) il nostro dissenso risulta marginale rispetto alla discussione che Ottieri permette di aprire.
L’irrealtà quotidiana (PDF)