I coniugi, nonostante siano sempre stati lontani da lustrini e paillettes, si sono guadagnati col tempo una certa reputazione perché considerati dalla critica degli innovatori del linguaggio filmico, degli aggiratori delle consuete formule cinematografiche. Chi scrive non può confermare in toto perché reduce soltanto da alcuni stralci visionati in Rete, ma da quel poco si evince con chiarezza l’asciuttissima possanza di uno stile personale degno d’attenzione, e in subordine di uno stile non dissimile da quello costiano. Le similitudini si rintracciano in una medesima estromissione del movimento immobilizzando così la fonte visiva che ha davanti a sé in larga parte attori non professionisti, e la scelta di appoggiarsi ad una recitazione anti-accademica risulta l’altra convergenza con l’arte del lusitano. Ma aldilà dell’evidente debito che Costa ha nei confronti di questa coppia francese, dalle immagini di Où gît votre sourire enfoui? traspare un rispetto assoluto e silenzioso nei confronti del lavoro che compiono i due registi. Come per In Vanda’s Room (2000) egli è soltanto un testimone che osserva (e noi con lui) la prassi, bizzarra e anche un filino tenera (la Huillet che si mette a parlare di una t-shirt rubata a Roma anni prima insieme al marito), che vede la donna sempre in plancia di comando a smanettare con la moviola, mentre l’uomo preferisce filosofeggiare, discettare di cinema e letteratura (italiana, i due sono grandi ammiratori di Pavese e Vittorini) nelle confortevoli tenebre della camera oscura.
Il finale, che coincide con il finale di Sicilia! proiettato nella sala, lascia inquieti, leggermente scossi dai dubbi: che cosa è la “cosa” cinema? Che cos’è questa forza magnetica dell’immagine? Che cos’è quest’ipnotico flusso verbale? Dov’è il cinema? In una macchina da presa o in una sala cinematografica? Cos’è un regista? Un uomo che cattura la realtà o uno scenografo del vivere reale?
… ma la musica finisce, e i titoli di coda giungono a silenziare tutto, anche le nostre futili domande.