Quando si parla di Michael James Owen (14/11/1979) ci riferiamo ad un campione con la C maiuscola, un assoluto protagonista del calcio della fine degli anni ’90.
Riesce a portare dopo tanti anni il Pallone d’Oro nel Regno Unito, spezzando il monopolio che vedeva premiati sempre i calciatori della Serie A, seppur stranieri (bei tempi per il calcio italiano!).
Partendo dall’inizio, Owen debutta a soli 17 anni nella Premier League, con il Liverpool e come poteva essere il suo esordio se non clamoroso? Nella prima partita fa capire subito di che pasta è fatto e segna la prima rete al Wimbledon. Con la squadra inglese rimane 7 anni, esprime sicuramente il meglio di sé, infatti nel 2001 viene premiato con il Pallone d’Oro, dopo aver vinto la Coppa UEFA, la Supercoppa Europea e la Coppa d’Inghilterra.
Nel 2004 le famose sirene del Real Madrid lusingano il Golden Boy del Liverpool, che parte alla volta della Spagna. Il soprannome è dato dai suoi tifosi della Kop, vedono in lui l’uomo del karma, quello che pareggia i conti con gli Argentini. Golden boy, infatti, risale a France ’98. Nella partita che vide opposte Inghilterra e Argentina, Owen tentò di imitare l’immenso Maradona: stoppa il solito lancio lungo delle retrovie con il tacco, ubriaca di finte un paio di difensori seminandoli con uno scatto rabbioso, insacca la palla in rete e per i Sudamericani il torneo finisce lì.
Con i Blancos Owen rimane un solo anno, tra i campioni spagnoli non riesce ad adattarsi e la panchina diventa un must.
Il golden boy decide di ritornare in patria, questa volta sponda Newcastle. I primi due anni sono segnati da infortuni anche importanti, il campo lo vive di rado, però come al solito la sua presenza si fa sentire, poche partite, tuttavia le reti non mancano. Il terzo anno sembra andare meglio, ma la sfortuna non gli dà tregua e, dopo il brutto infortunio ai legamenti del ginocchio, si rompe anche la caviglia. Nemmeno quest’ennesimo intervento gli negherà la voglia di tornare in campo. Owen torna e convince, sembra talmente tanto in forma che, addirittura, lo acquistano i Red devils del Manchester United.
La nuova scelta non piace ai suoi ex tifosi e non convince particolarmente nemmeno il suo attuale pubblico, ma la società crede in lui, o forse sta solo mettendo a segno un grande colpo di mercato, fatto sta che gli assegna la prestigiosa maglia n°7, quella di Best, Beckham e Ronaldo, idoli non sostituibili. Con il Manchester United la scintilla non scocca, la squadra di Ferguson lo relega alla panchina, quasi una vetrina da cui poter mostrare uno dei migliori attaccanti che la Nazionale inglese abbia mai avuto, purtroppo ridotto a mezzo servizio.
Alla fine lascia anche i Red devils, firma con lo Stoke City, ma mette insieme poche presenze e, giustamente, pone fine ad una carriera che, almeno all’inizio, sembrava poterlo inserire ai vertici del calcio mondiale per molto tempo. Purtroppo per lui non è andata così. La sua tecnica, velocità e dribbling da capogiro hanno deliziato gli spettatori per pochi anni, ma abbastanza da far sognare gli Inglesi di avere un fenomeno che potesse regalare importanti trofei ad una Nazionale a secco dagli anni’60.