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P/2012 F5: un asteroide esplosivo

Creato il 20 marzo 2015 da Media Inaf

Un team guidato da astronomi della Jagiellonian University di Cracovia, in Polonia, ha recentemente utilizzato il W.M. Keck Observatory alle Hawaii per osservare una peculiare classe di “asteroidi attivi”, che emettono spontaneamente polvere e stanno facendo arrovellare gli scienziati da anni . Il team è stato in grado di misurare la velocità di rotazione di uno di questi oggetti, suggerendo che l’asteroide abbia ruotato così velocemente da esplodere, rilasciando polvere e frammenti di roccia lungo una scia dietro di sé. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Astrophysical Journal Letters.

Nel 2010 è stato scoperto un nuovo tipo di asteroide attivo che espelle polvere in una specie di esplosione, senza una ragione evidente. A differenza delle centinaia di migliaia di asteroidi nella fascia principale del nostro sistema solare, che si muovono lungo le loro orbite senza particolari scossoni, gli asteroidi attivi sono stati scoperti alcuni anni fa e mostrano un comportamento che imita le comete, con la formazione di una coda dovuta alla sublimazione del ghiaccio.

Gli scienziati hanno valutato principalmente due ipotesi. Una ritiene che l’esplosione sia il risultato di una collisione ad alta velocità con un altro oggetto più piccolo. La seconda ipotesi spiega questi episodi esplosivi come la conseguenza di una “perturbazione rotazionale“, l’espulsione di polvere e frammenti sarebbe quindi dovuta a grandi forze centrifughe prodotte dalla stessa gravità dell’oggetto, che ne provocherebbero in parte la rottura. La rottura dovuta alla rotazione è ciò che ci aspiettiamo alla fine del cosiddetto effetto YORP: una lenta evoluzione del tasso di rotazione dovuta ad un’emissione asimmetrica del calore.

Ad oggi gli astronomi hanno individuato quattro oggetti sospettati di attività espulsiva. Questi quattro asteroidi sono molto piccoli, con diametri di circa un chilometro o meno, e questo li rende incredibilmente deboli se osservati da una distanza tipica di circa 300 milioni di km. Nonostante i tentativi precedenti, la piccola dimensione di questi oggetti ha impedito agli scienziati di determinare alcune delle caratteristiche principali che potrebbero dimostrare o confutare le teorie proposte.

Fino all’agosto scorso, quando al team di scienziati guidato da Michal Drahus della Jagiellonian University è stato assegnato il tempo osservativo al Keck Observatory.

«Quando abbiamo puntato il Keck II sull’oggetto noti con il nome P/2012 F5, speravamo di misurare la sua velocità di rotazione e controllare se presentasse frammenti di dimensioni considerevoli. E i dati di hanno mostrato tutto ciò che ci aspettavamo», ha detto Drahus.

Il team ha scoperto almeno quattro frammenti dell’oggetto, che si sapeva aver avuto un episodio espulsivo durante il 2011. Hanno anche misurato un brevissimo periodo di rotazione (3.24 ore), abbastanza veloce da causare l’esplosione dell’oggetto.

«Questo è davvero eccezionale perché la rotazione veloce è uno dei meccanismi ipotizzati per l’espulsione di polvere e l’innesco della frammentazione per alcuni asteroidi e per le comete attive, ma fino ad ora non abbiamo potuto testare a fondo questa ipotesi poiché non sapevamo quanto velocemente ruotassero gli oggetti frammentati», ha spiegato Drahus.

Gli astronomi hanno calcolato il periodo di rotazione dell’oggetto misurando piccole fluttuazioni periodiche di luminosità. Tali variazioni avvengono poiché il nucleo, di forma irregolare, ruota attorno al proprio asse e riflette diverse quantità di luce solare durante un ciclo di rotazione.

«Questa è una tecnica ben consolidata, ma la sua applicazione su oggetti particolarmente deboli è una sfida», ha dichiarato Waclaw Waniak della Jagiellonian University, che ha collaborato all’elaborazione dei dati. «La difficoltà principale è che la luminosità deve essere imsurata ogni pochi minuti, quindi non possiamo permetterci lunghe esposizioni, normalmente necessarie per oggetti così deboli. Avevamo quindi bisogno della vasta area di raccolta del Keck II, che è in grado di catturare una quantità abbondante di fotoni in un tempo molto breve».

Variazioni di luminosità di P/2012 F5 durante due cicli di rotazione consecutivi. In alto, sono riportate le variazioni rispetto al tempo, in basso quelle rispetto alla rotazione dell'oggetto. Crediti: M. DRAHUS, W. WANIAK (OAUJ) / W. M. KECK OBSERVATORY

Variazioni di luminosità di P/2012 F5 durante due cicli di rotazione consecutivi. In alto, sono riportate le variazioni rispetto al tempo, in basso quelle rispetto alla rotazione dell’oggetto. Crediti: M. DRAHUS, W. WANIAK (OAUJ) / W. M. KECK OBSERVATORY

I fotoni sono stati raccolti nel cammino ottico del telescopio e inviati allo strumento DEIMOS per produrre i dati che hanno permesso agli scienziati di determinare la natura di P/2012 F5. Oltre ad effettuare il monitoraggio della luminosità nelle singole esposizioni di 3 minuti, gli scienziati hanno assemblato tutti i dati producendo una singola immagine a lunghissima esposizione, che ha permesso di rivelare la presenza dei frammenti.

Il successo non sarebbe stato possibile se il bersaglio selezionato non fosse stato un candidato ideale per questo studio. P/2012 F5 è stato scoperto da Alex R. Gibbs il 22 marzo 2012 con il telescopio riflettore Mount Lemmon da 1.5 metri. Inizialmente, considerando il suo aspetto “polveroso”, è stato classificato come una cometa, ma due team hanno scoperto in modo indipendente che tutta quella polvere era stata emessa in un singolo evento espulsivo circa un anno prima della scoperta, cosa che non capita alle comete. In seguito, nel 2013, un altro gruppo ha osservato questo oggetto con il telescopio da 2.2 metri di Mauna Kea osservando un nucleo a stella, di cui ha suggerito anche una dimensione massima di circa 2 km.

«Avevamo il sospetto che questo limite massimo fosse vicino alla dimensione reale dell’oggetto. Pertanto abbiamo scelto di osservare P/2012 F5: nonostante le sue piccole dimensioni sembrava il più grande e più facile da osservare tra gli asteroidi attivi», ha detto Jessica Agarwal del Max Planck Institute for Solar System Research.

Da questo studio risulta quindi che P/2012 F5 è il primo oggetto di recente frammentazione del sistema solare con una velocità di rotazione misurata con accuratezza, e questa velocità di rotazione è estremamente alta. Queste due caratteristiche dell’oggetto sono coerenti con lo scenario della perturbazione rotazionale, ma spiegazioni alternative, come la frammentazione dovuta ad un impatto, non possono essere del tutto escluse.

«Ci sono molti asteroidi in rapida rotazione che non presentano segni di una perdita di massa recente. E ci sono molti oggetti di piccole dimensioni là fuori, che si muovono a grandi velocità in cerca di un obiettivo da colpire, sia esso un rotatore veloce o meno», ha detto Drahus.

«Siamo in debito con i Caltech Optical Observatories per averci generosamente concesso tempo osservativo presso il Keck Observatory per questo programma», ha detto Drahus, ex NRAO Jansky Fellow al Caltech. «Senza l’enorme area di raccolta dello specchio da 10 metri del Keck II, non saremmo stati in grado di raggiungere i nostri obiettivi così rapidamente».

Il W.M. Keck Observatory gestisce i telescopi più grandi e scientificamente più produttivi sulla Terra. I due telescopi da 10 metri si trovano vicino alla cima del Mauna Kea alle Hawaii, operano nell’ottico/infrarosso e dispongono di una serie di strumenti avanzati tra cui imager, spettrografi multi-oggetto, spettrografi ad alta risoluzione e tra i migliori sistemi di ottica adattiva del mondo.

DEIMOS (the DEep Imaging and Multi-Object Spectrograph, ovvero imaging profonda e spettrografo multi-oggetto) vanta il più grande campo di vista di qualsiasi degli strumenti Keck (16.7 arcmin per 5 arcmin) e il maggior numero di pixel (64 Mpixel). è utilizzato soprattutto nella sua modalità multi-oggetto, ottenendo fino a 130 spettri simultanei di galassie o stelle. Gli astronomi studiano campi di galassie lontane con DEIMOS, sondando in modo efficiente gli angoli più remoti dell’universo ad alta sensibilità.

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli


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