Sin tetas no hay paraíso, Las muñecas de la mafia, El cartel de los sapos, El capo: il successo delle telenovelas colombiane sullo sfondo del narcotraffico non conosce crisi. Il filone viene sfruttato da almeno sei anni ed ha permesso al genere, ormai prossimo all’esaurimento, di rigenerarsi e di toccare i picchi delle migliori stagioni. Gli ingredienti ci sono tutti, dalla passione alla tragedia, passando dai luoghi comuni sui narcos allo spaccato più dozzinale della società colombiana. Uno spaccato ingombrante, che viene venduto anche all’estero -in tutta l’America Latina, negli Stati Uniti ed anche in Europa dove la serie più famosa (Sin tetas no hay paraíso) è stata trasmessa in Spagna ed in Finlandia- e che ripropone un’immagine stereotipata della Colombia che divide critica e pubblico.
In particolare il mondo politico e quello della cultura sono insorti contro questi programmi televisivi, accusati non solo di vendere un’immagine da cartoon nero della Colombia, ma anche di esaltare i valori travisati della criminalità. Traffico e consumo di droga, sesso, violenza, prostituzione sono i temi ricorrenti che hanno soppiantato i tradizionali melodrammi delle eroine di periferia con i loro amori tormentati ed impossibili. Brave ragazze, in fondo, perché le protagoniste di oggi sono infide teenager affamate di soldi e successo, disposte a tutto pur di raggiungere una fama passeggera, fino a prostituirsi appunto per i signori della mafia.
C’è poco di strappalacrime in queste storie, ma molta dabbenaggine e scelleratezza, eppure il popolo è contento e le narconovelas invece di passare di moda fanno rating e continuano a girarsi e ad ottenere il favore del pubblico.
Se la formula funziona, tanto vale riprovarci ed ecco ora che Caracol Televisión, maggiore produttore di queste telenovelas, propone ¨Escobar: el patrón del mal¨, una serie televisiva che ripercorrerà in sessanta puntate la vita di Pablo Escobar, il più famoso tra i narcotrafficanti.
Secondo i produttori, l’operazione vuole invitare i colombiani a fare finalmente i conti con il proprio passato recente, un passato spesso scomodo ed a volte proprio impresentabile. Sono trascorsi diciannove anni da quando Escobar venne ucciso nel 1993 in uno scontro a fuoco con la polizia e da allora la figura del narcotrafficante non solo è stata rivoltata come un guanto ma anche mitizzata, con eccessi al limite del paradossale. A Medellín si è giunti a trasformare l’epopea di Escobar in un’attrazione turistica. Qui le agenzie vendono un tour sui luoghi che hanno reso famoso il Capo. Per trenta dollari i turisti vengono accompagnati nel quartiere Los Olivos, dove sorge l’ultima dimora di Escobar, che gli era servita da rifugio prima di essere scovato ed ucciso; quindi al cimitero Montesacro dove si trova la tomba e all’Edificio Dallas, che negli anni Ottanta era il centro delle operazioni del cartello di Escobar. Ciliegina sulla torta, la visita a Roberto, El Osito, il fratello di Pablo che, rimasto mezzo cieco e mezzo sordo in seguito ad un attentato, arrotonda così le sue malandate finanze, raccontando aneddoti dei ¨bei¨ tempi andati.
Ci sono poi i libri, ultimo in ordine di tempo ¨Amando a Pablo, odiando a Escobar¨, una biografia scritta da Virginia Vallejo, la famosa presentatrice colombiana degli anni Ottanta che, oltre ad aver rivelato di essere stata l’amante (http://www.amandoapablo.com/) di Pablo, ha raccontato vari retroscena della vita privata del narcotrafficante, aprendo nuovi interrogativi sulla sua fine.Cosa potrà aggiungere una telenovela a quanto è già stato scritto e mostrato sulla vita di Pablo Escobar? Probabilmente nulla, ma servirà a soddisfare il prurito del pubblico televisivo che continua ad essere alla costante ricerca di eroi –non importa di che specie siano- per riempire il vuoto di una vita da spettatore.