Pacific Rim

Creato il 11 luglio 2013 da Audrey2

Questo non sarà un commento.
Questo sarà un delirio!
Cercherò di limitare al massimo gli spoiler, ma qualcuno — per quanto piccolo — potrebbe scapparmi. Perché l’entusiasmo è ancora alle stelle.
Sono uscita dal cinema due ore fa e ancora mi gira in testa la ending, ancora è in circolo l’adrenalina — che mi ha fatto macinare a piedi quattro chilometri in venti minuti (che per me, che lo sport non faccio manco lo sforzo di guardarlo in TV, è un’impresona), ancora è vivo quel marasma di sensazioni che, intorno a un nucleo di divertimento allo stato puro, condensa di tutto di più — dall’aggressività (“Ssssìììì! Crepate, Kaijū bastardi!”), alla nostalgia (“I robottoni della mia infanzia sono tornati! E più cazzuti che mai!”), alla rivalsa (“Ah-haaaa! Al diavolo, voi tristi omìni e donnine che avete già etichettato questo film come una cazzata! Siete tristi, siete. Tristerrimi e grigi!”), al kawaii (“Bello, bello, bellooooooo! Voglio vederlo di nuovo!”)
Insomma, mi sento una trottola e… e… voglio baciare Guillermo del Toro. Con la lingua!

Titolo originale: Pacific Rim
Regista: Guillermo del Toro
Soggetto: Travis Beacham
Sceneggiatura: Travis Beacham, Guillermo del Toro
Genere: Fantascienza
Anno: 2013

Il mondo è sotto attacco da parte dei Kaijū, enormi mostri che emergono da un portale interdimensionale situato in una spaccatura tra due placche tettoniche, nell’Oceano Pacifico. Gli alieni non vengono dallo spazio, ma dagli abissi. Per sconfiggerli, gli umani hanno creato a loro volta dei mostri: gli Jaegers.
Kaijū, 怪獣: bestia gigantesca.
Jaeger, tedesco: cacciatore.
Ma anche questi formidabili robot sembrano impotenti, di fronte alle continue ondate di mostri che attaccano le città costiere che si affacciano sul Pacifico. Tanto che, con idiota (e anche stereotipata, via) idiozia, i capi di stato più influenti del pianeta decidono di mandarli in pensione e affidarsi a titaniche mura, le Muraglie della Vita, persistendo nella loro stupida decisione anche quando un Kaijū abbatte in meno di un’ora quella eretta a protezione di Sidney.
Al pensionamento si oppone il responsabile del progetto Jaegers, Stacker Pentecost, che decide di richiamare in servizio un ex pilota traumatizzato, Raleigh Becket, perché partecipi a una missione che potrebbe risolvere la guerra. Ad affiancarlo, come secondo pilota dello Jaeger Gipsy Danger, una recluta in cerca di vendetta: Mako Mori.
Questa, in soldoni, è la trama di Pacific Rim.
Sotto sotto, il timore che il film potesse rivelarsi un carrozzone di effetti speciali senza sostanza… be’, c’era. Ma i trailer visti in rete e in televisione mi avevano elettrizzata. Mi sono unita anche io al count down generale. Per cui, incrociando le dita, sono entrata in sala con gli altri cinque gatti che hanno scelto, come me, la visione in 2D. Nella sala attigua, i sei che, invece, hanno scelto il 3D.
E io che mi aspettavo il pienone di mocciosi fastidiosi.
Meglio così!
Mi sono goduta in santa pace uno dei film più belli di sempre. Un vero spettacolo per gli occhi. Roba che Avatar — che sul piano visivo, e solo su quello, imho, è un film spettacolare — al confronto sbiadisce, viene surclassato. Mentre Prometheus… bah, quello non era pervenuto prima, figuriamoci adesso!
In una scala da uno a dieci, dovete pensare a Pacific Rim come a un undici (cit., più o meno).

GO BIG OR GO EXTINCT.
Eh, sì, per la miseria!.
Quel che posso dire, è che il film è spettacolare per il 99% del tempo.
I Kaijū, semplicemente, fanno il culo a stelle e strisce a quella lucertola posticcia che Peter Jackson cercherà, prossimamente, di spacciare per Smaug il Terribile. Lo fanno a qualsiasi “creatura” io abbia visto, in effetti. Con tanto, sempiterno rispetto per i dinosauri di Spielberg, che adoro e adorerò sempre.
Sprofondata nella mia poltroncina, a grufolare pop-corn, guardavo questi mostroni con tanto d’occhi — mentre imperversavano nelle città, mentre combattevano per terra e per mare contro gli Jaegers — e riuscivo solo a pensare a quanto fossero realizzati da dio, a quanto mi sembrassero veri nella loro brutalità, nella loro forza, nella loro tenacia.
Gli scontri a ferro e fuoco tra Kaijū e Jagers — a suon di pugni, calci, grattugiate contro grattacieli, colpi di spada e cannoni al plasma — mi hanno fatta regredire al tempo in cui tifavo per Goldrake e Daitarn III. Una voglia di agitarmi e sferrare cazzotti al vento! Erano  decen… anni che non mi divertico così, che non mi sentivo così coinvolta in una scena di combattimento. E, come quando ero alta un nano e un barattolo, anche oggi ho trovato i miei eroi per cui tifare. Non la coppia di protagonisti, ma l’equipaggio russo dello Jaeger Cherno Alpha. È stato colpo di fulmine alla prima inquadratura.

Una presenza scenica che mi ha conquistata. Per il resto, non è che fossero chissà quanto caratterizzati. Ma neanche un pochetto, in realtà. Come non lo sono nemmeno i tre fratelli Wei, piloti di Crimson Typhoon.
Travis Beacham e Guillermo del Toro si sono concentrati su Raleigh, Mako, Pentecost e — anche se appena appena — su Chuck ed Herc Hansen, piloti di Striker Eureka.
Nei personaggi, nel modo in cui interagiscono e nelle loro storie personali, il lavoro svolto sa di visto e stravisto. Come in alcune svolte della trama. Niente di originale.
Anche la recitazione ha risentito di una sceneggiatura poco approfondita per quel che riguarda la caratterizzazione. Troppo macchiettistica l’interpretazione di Burn Gorman, l’indimenticato (e anche odiato/amato) Owen Harper in Torchwood. E viziata dal cliché dello sbruffone quella di Ron Perlman, nei panni di un tamarrissimo trafficante d’organi di Kaijū. Fategli interpretare La Bestia Vincent o il monaco Salvatore o Hellboy, o qualunque altro ruolo: Ron Perlman buca sempre lo schermo, anche quando non viene sfruttato a dovere. Quasi un attore feticcio di Guillermo del Toro, per il quale ha recitato spesso, in Pacific Rim non passa di certo inosservato, anzi, ma mi ha lasciato la sensazione di un personaggio a metà. In definitiva, di tutto il cast mi è piaciuta solo Rinko Kikuchi, che interpreta Mako Mori: dolce, rispettosa, ma determinatissima a vendicare la sua famiglia. Una combattente tosta, con e senza l’armatura che i piloti indossano quando si connettono neuralmente tra loro per pilotare gli Jaegers.
La “stretta di mano neurale” non è un’idea nuova — salta subito in mente il paragone con Neon Genesis Evangelion — ma in questo caso viene realizzata non tra pilota e robot, ma tra pilota e pilota: uno rappresenta l’emisfero cerebrale destro, l’altro quello sinistro. La loro perfetta sinergia — realizzata attraverso la reciproca compenetrazione mentale, con conseguente condivisione dei ricordi — muove lo Jaeger, tanto più efficacemente quanto più forti sono la sintonia e la fiducia tra i piloti. Che, non a caso, sono quasi tutti legati da vincoli di parentela.
Mancanze della sceneggiatura a parte, in Pacific Rim ce n’è abbastanza per accontentare un po’ tutti, credo: azione serrata e mozzafiato, (accenni di) conflitti personali, duelli “spaziali” — come si diceva ai miei tempi, quando qualcosa era troppo grande per poter essere definita diversamente. Per quelli come me, cresciuti negli anni ’80, sarà una festa due volte tanto, con i nomi di Go Nagai, Gundam e Godzilla — tra i tanti — che ogni tanto sfrecceranno in mente, specie nelle scene accompagnate dalle musiche composte da Ramin Djawadi.

Prima che me ne dimentichi. Ho la tendenza a non tenere in considerazione chi c’è dietro una pellicola, ma questa volta, più che mai, è d’obbligo un applausone a Kate Hawley, per i costumi, e a Andrew Neskoromny e Carol Spier, per le scenografie. Oltre che a tutto il comparto che ha realizzato gli effetti speciali.
Perché di straordinario, in Pacific Rim, ci sono anche, per esempio, proprio le armature dei piloti: 13 Kg di roba da appendersi addosso e immagino quanta fatica debba essere costata, ma l’effetto è assolutamente convincente. Sono persino usurate e graffiate, a testimoniare la durezza degli scontri sostenuti. E poi le Coon-Pods: le cabine di comando, costruite sul set e non realizzate solo in computer grafica, per volere di Guillermo del Toro. Il quale ha anche curato l’aspetto di tutti i Kaijū: non sono pochi, ma ciascuno è diverso dall’altro. Ricordano squali, granchi, lucertole, insetti.
C’è persino l’aspetto ecologico, in Pacific Rim, ed è legato proprio ai Kaijū. È una delle forzature che ho trovato (senza neanche cercarle), ma va bene lo stesso.
Non c’è niente che possa intaccare la grandiosità di questo film.
Datemi ancora mostroni! Ancora robottoni!



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