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Camminavo svogliatamente verso la tele. Un senso di frustrazione mi era entrato fin dentro le ossa, svuotandomi di ogni energia. Ero arrabbiato con me stesso, ma non avevo la forza di tramutare la rabbia in qualcosa di positivo. Non riuscivo a far altro che rimuginare sulla mia incapacità di portare avanti lucidamente qualsiasi cosa. Vedevo la vita che scorreva intorno a me come qualcosa di troppo complesso per le mie scarse capacità di comprensione. Avevo come l‘impressione di muovermi al rallentatore in una rappresentazione dove gli altri correvano velocissimi. Ero perennemente indietro, a rincorrere gli avvenimenti. Non c’era verso: quando ero convinto di avere in mano la situazione e di poter dire la mia, di poter influire sul corso degli avvenimenti, mi accorgevo che nel frattempo le cose erano andate avanti senza di me. Mi sentivo stupido. Così mi aveva definito Paco e aveva ragione. Lui sì che era al passo con la realtà, che sapeva cavalcarla, dirigerla a suo piacimento.Senza che nessuno glielo dicesse aveva compreso perfettamente le mie intenzioni, le aveva anticipate e sepolte per sempre con poche parole.
Speravo che Paolo non avesse ancora parlato con nessuno del mio progetto. Volevo andare da lui e dirgli che non se ne faceva di nulla. Entrando in ufficio mi diressi immediatamente verso il suo sgabuzzino. Nonostante fossi assorto nei miei pensieri fui raggiunto dalle onde sonore prodotte in continuazione da Riccardo. Nel silenzio generale si sentiva solo lui che canticchiava ridendo una canzone, facendo nel contempo andare avanti e indietro un cassetto della scrivania. Pazienza, tanto non avrei avuto bisogno di andare al mio posto. L’Antonia mi passò svelta accanto, urtandomi con una spalla. Fu un tocco lieve ma capace di farmi abbandonare i miei pensieri. Mi era parso che l’avesse fatto apposta. A rafforzare questa impressione arrivò un grugnito sarcastico di Riccardo. Mi guardai in giro, imbarazzato. Tutti quanti facevano finta di lavorare ma si vedeva benissimo che mi seguivano di sottecchi.
Ero l’oggetto dell’attenzione generale, senza che io avessi la minima idea del perché. Intanto Riccardo continuava il movimento di aprire e chiudere il cassetto, ampliandolo a dismisura. Guardai in quella direzione: il cassetto, il mio cassetto dove tenevo tutto il materiale su cui stavo lavorando, era vuoto. Le smorfie che lui faceva erano inequivocabili. Aveva riconquistato il pieno possesso della sua postazione. Su quella scrivania io non avevo più alcun diritto.
Ero smarrito. Dovevo essere penoso, mentre annaspavo in cerca di un appiglio per riportarmi al passo con la nuova realtà che, evidentemente, si era determinata. Dopo un momento interminabile di inazione fu Giuliana a lanciarmi un salvagente. Incrociò per un istante il mio sguardo indicandomi con gli occhi una direzione precisa. Guardai verso la postazione di Luciano, dove c’era però, a lavorare con la testa bassa su una grande quantità di fogli, non lui ma Anna Maria.
Mi voltai d’istinto verso il box all’ingresso, che era sempre stato il suo ufficio. Attraverso i vetri si vedevano distintamente Maria e Luciano che parlavano con aria soddisfatta.
Era troppo per me. Con uno sforzo notevole ripresi a camminare, ficcandomi rapidamente nell’antro di Paolo.
Che bella cosa, avere un amico! Una volta dentro, potevo chiudere la porta e lasciarmi sprofondare nella poltrona destinata agli ospiti. Paolo era indaffarato, ma mi rivolse un’occhiata significativa cominciando a ridere.
“Allora, Francesco, che succede? Hai preso una sberla?”
Non risposi, ma la mia espressione doveva essere eloquente.
“Non te la prendere, dai. In fondo tu sei solo una pedina”
Saltai su
“Ma… io non ci sto capendo niente di niente!”
Rise più forte.
“Via, un po’ di immaginazione! Pensavi davvero di aver aggiustato tutto con il tuo servizio?”
Quale servizio? La questione di Paco era già così grave? Palo si divertiva a tenermi sulle spine. Mi guardava ridacchiando, incalzandomi con lo sguardo a trovare da solo la soluzione che era, evidentemente, chiara a tutti tranne che a me. Però, a differenza degli altri, Paolo riusciva ad essere lieve anche in situazioni come questa. Con lui non mi sentivo mai in imbarazzo né tantomeno potevo arrabbiarmi. Si divertiva, ma non mi prendeva in giro.
Mi stupisce sempre come una stessa situazione possa cambiare radicalmente a seconda di chi la guida e di come noi la percepiamo. Il sogghigno di Riccardo l’avevo subito, mi aveva fatto andare in confusione, come se le mie debolezze fossero state messe a nudo di fronte a tutta la redazione. La risatina di Paolo era invece un incoraggiamento, fatto a tu per tu, a riprendere il controllo della situazione, ad usare al meglio le facoltà che lui mi riconosceva.
Però il buio era totale. Non riuscivo a dare un senso logico a ciò che stava succedendo. Ero sul punto di arrendermi, di pregare il mio amico di smetterla con i misteri, quando finalmente capii. Vista dalla giusta prospettiva, improvvisamente ogni cosa andava al suo posto.
“Anna Maria?...”
Lui annuì.
Lo guardai per un lungo momento senza dire nulla, mentre cercavo di metabolizzare l’accaduto.
La storia di Pierfrancesco era alla fine uscita fuori, esplodendo come una bomba. La redazione era stata in subbuglio per l’intera mattinata. Paolo mi spiegò che Maria e Luciano si erano immediatamente fiondati a parlare con il Direttore ed il risultato era quello che avevo appena visto: ora a dirigere la tele c’erano loro due. Anna Maria aveva dovuto chinare la testa e tornare al lavoro di base.
“E’ un vero e proprio golpe!” esplosi scandalizzato.
Paolo mi guardò con un’espressione neutra.
“Fa parte del gioco”
“Ma come? E’ tutto quello che hai da dire?” mi scaldai.
“Anna Maria era, è un’ottima organizzatrice! Poi non è giusto, lei si è sempre fatta un mazzo così, mentre quell’altra troia non pensa che alla carriera! Luciano, poi! Sono capaci di far affondare la tele in pochi mesi!”
Paolo si limitò ad alzare un sopracciglio, allargando leggermente le mani.
“Tu, piuttosto. Ora sei nella lista dei cattivi, per via del servizio sull’aggressione al senzatetto”
Feci per ribattere, ma mi tacitò con un gesto.
“Non te ne devi preoccupare eccessivamente. Ti ci sei trovato coinvolto tuo malgrado. Vedrai che nel giro di un paio di settimane tutto si aggiusta”
Mi indicò la porta, invitandomi così ad uscire.
“Vedi piuttosto di fare un buon lavoro con Paco. Ti potrebbe aiutare a risolvere in fretta la questione”.
Le sue ultime parole mi raggiunsero che già avevo varcato la soglia, mentre mi risolvevo ad affrontare nuovamente il resto della redazione. Ma il mio stato d’animo era cambiato e non vi diedi alcun peso. Aver capito cosa era successo mi dava la forza di ignorare le occhiate dei colleghi. Il problema l’avrei affrontato più tardi.
Ora mi sentivo di fare una cosa, anche se sapevo perfettamente che Paolo me l’avrebbe sconsigliata. Mi avvicinai alla scrivania di Anna Maria. Mille punture di spillo mi trafiggevano la pelle.
Lei alzò gli occhi dalle carte su cui stava lavorando.
“Mi dispiace” dissi.
Un debole sorriso illuminò per un istante il suo volto grigio.
“Grazie” rispose piano.
Poi aggiunse
“Almeno, tu ci hai guadagnato una scrivania” e mi indicò quella che era stata di Maria.
Tutte le mie carte erano sparse là, in attesa di essere riordinate. Mi lasciai cadere sulla sedia e cominciai quel lavoro, che mi consentiva di tenermi occupato senza essere costretto a pensare.
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