Aurel Klimt, animatore ceco che ha studiato sotto l’egida del maestro Břetislav Pojar presso la FAMU, accademia artistica con sede a Praga, costruisce una piccola tragedia urbana (e umana) dove il fulcro della vicenda è, senza essere banali e senza esagerare gratuitamente nei toni, un qualcosa di ben più profondo di un uomo che cade da un tetto (“pád” significa proprio “caduta”) e che all’ultimo secondo riesce ad aggrapparsi alla grondaia. Nella discesa, quasi rassegnata vista l’immobilità dell’uomo (che è un burattino, come tutti gli altri personaggi della messinscena), il tragitto si fa metafora del senso ultimo per eccellenza, la Fine è un traguardo veramente ad un
Eppure, sebbene vi sia innegabilmente una tensione scoraggiante, di arrendevolezza verso l’ineluttabile causata da una linfa sociale incapace di dare sostentamento, Klimt è bravissimo nel contaminare tale atmosfera con un’ironia pregiata e dalla natura multiforme: si va da quella senza pretese dei due gatti (con annessa, e divertente, metamorfosi canina), si prosegue nella satira o in un modello similare (tutte le cadute contemporanee al protagonista in bilico sono completamente snobbate dalle istituzioni sul posto) e si affonda nel medesimo campo (gli alterchi tra i due agenti delle pompe funebri con, nell’ordine, un dottore e un pompiere, rivelano la bramosia di accaparrarsi un… cadavere), per poi terminare con un assolo nostalgico dove l’immagine del vecchio abbandonato al suo precario destino suggerisce la solitudine urgente di un essere umano ignorato da una città-mondo che si addormenta sotto un cielo stellato, e a suggellare le belle musiche di Petr Soudek conferiscono la malinconica cifra di questo cortometraggio.