Le realtà oggettive a volte hanno una percezione e a volte, esse, identiche ed enigmatiche la smarriscono. Le polveri mortali che avvelenano, contaminano e appestano le “falde”…i “campi”…i “cibi”… infettando ed imputridendo gli “animali”, ci recingono giornalmente, vanificando l’opera di chi con “sudore” e “fatica”, si spacca la schiena tutti i giorni e nonostante tutto incommensurabilmente ancora ara, semina, coltiva, miete, concima, raccoglie, trebbia, macina…. mettendo in serio pericolo la “sua” ma anche la “nostra” travagliata esistenza.
E i nostri figli? Con quali vivande sfameremo in futuro i nostri figli? Oh, mio Dio, che frutti stiamo raccogliendo in questa martoriata e seviziata “terra dei fuochi”? Grano radiattivo? Pomodoro al magnesio? Ortaggi allo zinco? Ma perché? Ditemelo, perché? Una sola risposta: <>! Ma tutto ciò non fa cessare di tenere alta la forza, che resta ineliminabile, sulle fisionomie stanche dei contadini, sulle loro rugosità incavate dagli agenti atmosferici nelle fenditure del loro arco vitale, nell’intaglio infossato che adocchia il loro capo coperto dal tipico berretto a quadroni. La loro vita è stata interamente vissuta nei campi e per i campi. Padri da “ricordare”…. che hanno generato figli da “non rispettare”. Il tempo, successione di infiniti istanti… inesorabilmente trascorre. Ieri. Oggi. Adesso. Esclusione di guide… Timoni allo sbando… Rotte alla sfacelo…E l’epidermide, prima si decolora, poi si increspa e si raggrinza all’astro incandescente e non lascia più avvisaglie medesime.
Poesia candidata al Premio internazionale di poesia Piccapane