Le 'magnifiche sorti e progressive' di un paese ingenuo e ammaliato dagli anni del 'boom' economico: Davide Ferrario torna al Lido con uno splendido documentario sul Novecento italiano, mostrandoci la felicità un po' naif e 'caciarona' tipica del periodo, in cui si lavorava sodo (spesso in condizioni precarie) ma nessuno si lamentava per il benessere raggiunto. Un'utilitaria, un frigorifero, un televisore, erano i simboli di un'epoca che sembrava non dovesse mai finire... film di montaggio, che assembla audiovisivi tratti dall'Archivio di Stato per documentare una grande, splendida illusione.
Il grande ritorno al Lido del 'maestro' Peter Bogdanovich, 75 anni ben portati, inattivo da quasi un decennio. Il suo ultimo film è un gioiellino di rara bellezza, una commedia sofisticata che omaggia Lubitsch e fa il verso al Woody Allen vecchia maniera, riuscendo proprio dove quest'ultimo ormai arranca: gran ritmo, battute fulminanti, romantici equivoci, un teatrino dell'assurdo leggero e divertentissimo dove gli attori fanno a gara a rubarsi la scena. Di gran lunga il film più leggiadro e spensierato della Mostra, adorato dal pubblico (specie quello femminile).
Dopo il passaggio a Cannes 2013 con As I lay dying, James Franco stavolta sceglie Venezia per continuare la sua personale rilettura dei grandi romanzi americani del passato, adattando ancora una volta un classico di William Faulkner, ovvero L'urlo e il furore: uno dei libri più difficili e meno 'cinematografici' dello scrittore statunitense. Il risultato è certamente discontinuo, specie quando Franco si intestardisce nella parte del ritardato Benji, ma il film riesce comunque a ricreare l'atmosfera del racconto con passione e autorialità, coinvolgendo lo spettatore. Una bella sorpresa.
Da tempo Venezia ha sdoganato le serie tv, con le quali ormai bisogna fare i conti senza drammi: questa mini-serie in sole quattro puntate, ispirata all'omonimo romanzo (premio Pulitzer) di Elizabeth Strout, ha conquistato la platea: è la storia di Olive, severa e apparentemente cinica insegnante di matematica costretta a vivere in uno sperduto paesino della provincia americana, dove tutti sanno tutto... convincente ricostruzione di un paesaggio rurale e conservatore, che va decisamente stretto anche a chi, in quel posto, ci vive da sempre. Grandissima performance attoriale di Frances McDormand, protagonista assoluta.
In seguito a un colpo di stato, uno spietato dittatore di un' immaginaria nazione dell'est Europa si ritrova fuggiasco in patria. Lo accompagna, nel disperato tentativo di lasciare il paese, il nipotino di sei anni, che scopre a sue spese gli orrori della rivoluzione. Bella riflessione contro totalitarismo e l'intolleranza sotto forma di una fiaba moderna diretta dell'esule regista iraniano. Forse un po' schematico, semplicistico, ma d'indubbia presa sul pubblico (che infatti l'ha adorato).
La sorpresona della Mostra: la storia (vera) del viaggio della speranza da Lampedusa alla Svezia di cinque profughi siriani, che s'inventano dei finti matrimoni per passare indisturbati il confine. Girato in economia, con mezzi di fortuna, distribuito grazie alla rete e capace di meritarsi un quarto d'ora di applausi scroscianti in Sala Grande: non sarà un capolavoro, ma questo semi-documentario leggero e pacifista ha saputo scaldare i cuori degli spettatori grazie all'onestà e la semplicità della storia. Merita la visione.
Una specie di 'grande freddo' made in Cuba, tra quattro amici di mezza età che si ritrovano dopo tanti anni su una terrazza a L'Avana: uno di loro rientra in patria dopo un quarto di secolo ed è l'occasione per rinverdire ricordi e rimpianti, dal tramonto all'alba. Il francese Cantet (lo ricordiamo in La classe e Risorse umane) costruisce un film impeccabile ma verbosissimo (forse troppo) sul contrasto tra i sogni di un passato ormai alle spalle e la disillusione di oggi. Bravissimi i protagonisti, forse eccessiva la durata.