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Pagina 69 #32 Nichi Arriva Con Il Buio

Creato il 13 novembre 2015 da Nel @PeccatiDiPenna

Pagina 69 #32 Nichi Arriva Con Il Buio

Secondo Marshall Mc Luhan, per decidere se comprare un libro, bisogna affidarsi alla pagina 69.

Se quella pagina ci catturerà, allora, molto probabilmente ci piacerà il libro.

Per riuscire a comprendere in pieno la mia disperazione, Ecaterina, devi pensare a qualcosa che forse ti sarà difficile anche solo immaginare: allora nessuno di noi aveva un collegamento internet. Il personal computer era un lusso di pochi, che lo usavano prevalentemente per scrivere tesi di laurea e installare videogiochi dalla grafica rudimentale. Di telefonini già si parlava, ne possedeva uno un tizio giapponese che vedevamo a volte sui giornali o alla televisione, non di rado ne confondevamo l'utilizzo con il cordless che i nostri amici più ricchi avevano già nelle loro case. Oggi ti sembra pazzesco ma vent'anni fa le cose per noi andavano ancora così.
Settembre, la cucina di mia nonna. Dalla sedia che occupavo tutto il giorno vedevo il mio viso riflesso sullo sportello del forno. Prima che lasciassi l'isola insieme a mio padre Nichi mi aveva scritto il suo nome con la biro sul dorso della mano, una firma bella grossa a inchiostro blu nell'incavo tra l'indice e il pollice. Lo scriveva così, Nichi, senza l'ipsilon finale che alle ragazze piaceva aggiungere al suo nome. Mi aveva detto di non cancellarlo mai, così facevo attenzione ogni volta che mi lavavo le mani e di quando in quando ne ravvivavo il colore. Portavo il mio lutto con molto rigore.

Pagina 69 #32 Nichi Arriva Con Il Buio

Le mie migliori amiche Sandra e Clara sui gradini della chiesa. Il bar dove ci incontravamo con il resto della truppa era proprio lì accanto. Sandra mi prendeva in giro per la firma che portavo sulla mano, Clara era curiosa, voleva sapere di Nichi. Avevamo facce brutte, distanti, abbronzate - eravamo rimaste divise per tutta l'estate. La mia chiesa, le mie amiche, il mio paese: all'improvviso era tutto di nuovo al suo posto, ma in quanto alla mia vita era proprio un'altra storia. I miei ultimi risparmi erano convogliati nell'acquisto di una tessera telefonica - i telefoni a gettone, il loro odore, l'odore di quelle tessere; venivano succhiate con un suono irritante, acuto, il suono dei tuoi ultimi risparmi che sparivano nel nulla, un suono lungo dritto al centro dell'orecchio, l'inizio di un'interurbana, pregavo sempre che fosse Nichi a rispondere e invece mi rispondeva sua madre.
"Salve signora, sono Greta. Nichi è in casa?"
"È appena rientrato dagli allenamenti, aspetta un istante, è ancora in ascensore."
Là dove Nichi viveva, nelle case della gente c'era l'ascensore. Io gli ascensori li associavo solo ai centri commerciali, agli ospedali, non ne avevamo uno neanche a scuola, quattro piani e tre rampe di scalini su ogni piano, sempre a piedi, ogni mattina.
"Greta, ciao" - la sua voce ci riconduceva insieme, quel suo modo strascicato di pronunciare le erre, era lui, l'estate e lui, eravamo io e lui in una cabina con il mare che frusciava, la puzza di fumo, a trecento chilometri e rotti da quello che contava. Io non sapevo neanche quanti fossero trecento chilometri, non li riuscivo a quantificare.
"Come è andata agli allenamenti?"
"Una noia mortale, non abbiamo combinato un accidente. Al mister non frega più un cazzo di noi, è evidente, mi sa tanto che l'anno prossimo mollo la squadra e appendo i miei tacchetti al chiodo."
"È un vero peccato."
"Sì, beh, è quello che succede a non essere nessuno. Ci sono cose più importanti di una squadra di provincia, la gente migra sempre doveil profumo dei soldi. Adesso mi faccio una doccia e mi ingollo un montone e chi se ne frega di queste cazzate. Tu che cosa fai stasera?"
"Vado a casa di un'amica a vedere la finale del Festivalbar."
"Gesù, che merda."
"Eh, non piace neanche a me, ma non ho molte alternative."
"Potresti andare a casa a piangere per me." Lo diceva ridendo, ma avevo sempre l'impressione che si aspettasse davvero questo da me. "Sai, sto organizzando undel centro Italia per venire a trovarti. Ho già assoldato un bel po' di gente."
"Davvero?"
"Potresti anche fingerti un po' più entusiasta."
"Ne solo felice, lo giuro, è solo che -"
"È solo che?"
"Ci sono le mie amiche che battono sul vetro, mi stanno chiamando, Nichi, devo proprio andare."
"Sì, brava, vai a guardare quella merda, il Festival-coso."
"Mi dispiace veramente. Me ne parlerai meglio domani, okay?"
"Mi chiami tu?"
"Veramente toccherebbe a te."
"Come siamo fiscali! Allora ti chiamerò io. Buona merda."
"Nichi!"
"Cosa vuoi che ti dica? Detesto quella roba."
"Potresti dire buonanotte."
"Ciao, buonanotte."
"Stupido."
"Cosa c'è, l'ho detto male? Non vuoi che ti chiami gioia?" - Era il modo in cui lo diceva, come se non ci credesse neanche lui.
"Guarda che sto riagganciando."
"Vai,, vai, non ti attardare. La festa non può iniziare se non ci sei tu."
"Stronzo."
"Grazie, mi manchi anche tu."
"Sì, beh, a domani."
"Ciao."
"Ciao."


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