Secondo Marshall Mc Luhan, per decidere se comprare un libro, bisogna affidarsi alla pagina 69.
Se quella pagina ci catturerà, allora, molto probabilmente ci piacerà il libro.
Pagina 69 dal romanzo di Irene Milani, “Attesa”, seguito di “Il ritratto”
Ascolta, io non ti conosco. Perché dovrei fidarmi?” “Perché non hai scelta. Conosco il vostro segreto e non impiegherei un secondo a riferire tutto ai miei, condannando Tristan all’accademia militare in Germania!” Sentii il cuore perdere un colpo e un rivolo di sudore freddo scendermi lungo la schiena. Manfred, avuta l’ennesima conferma che i miei sentimenti erano sinceri, si affrettò ad aggiungere: “Non ho intenzione di farlo. Voglio bene a mio fratello, davvero.” “Allora è meglio che ne resti fuori – gli dissi io, gentilmente – meno persone sono coinvolte, meglio
è.” “Ok, come vuoi. Comunque sappi che se avete bisogno di una mano, per convincere i miei, per un alibi… per qualunque cosa potete contare su di me. Non ci tengo a sapere mio fratello in partenza per l’Iraq.” Sarebbero arrivati a tanto? Solo per non farci stare insieme? Lo avrebbero fatto arruolare volontario, mettendo a repentaglio la sua vita, nel vero senso della parola, pur di evitare che mi frequentasse. Le immagini dell’incubo sfilarono davanti ai miei occhi, cariche di nuovi significati. Erano solo le esagerazioni di Manfred o c’era qualcosa di vero? I miei erano timori infondati? Perché nessuno legge Romeo e Giulietta? Non sanno che chi si ama veramente fa di tutto per superare ostacoli e vincoli? Perché bisogna sempre arrivare alla tragedia? Questa volta non riuscii a trattenere le lacrime. Manfred mi guardò stupito, rendendosi conto solo allora di essere stato un tantino brutale. “Scusami, non volevo essere così tragico – disse, forse solo per rassicurarmi – spero che non si arrivi a tanto… in fondo siete due ragazzi normali, che si vogliono bene…” “Con due famiglie alle spalle che si odiano.” – aggiunsi amara. “Forse i tuoi provano odio ancora oggi, ma i miei sarebbero forse solo stupiti certo, attribuiscono a “voi” il nostro decennale esilio in Germania, il rancore è ancora forte…” “Preferirei non rischiare – conclusi io, rendendomi conto che ero uscita solo per accompagnare le ragazze in stazione, ed ero in ritardo di più di mezz’ora – dovrei andare a casa.”