Magazine Cinema
di Michael Bay
con Mark Whalberg, Dwayne Johnson, Anthony Mackie
Usa 2013
genere, commedia, drammatico
durata, 129'
La notizia da prima pagina è sicuramente quella di Michael Bay per un volta lontano da corrazzate produttive e coinvolto nella creazione di un opera da "tre soldi". O quasi. Al cospetto della macchina da presa infatti ci sono attori come Mark Whalberg e Dwayne Johnson frequentatori assidui del cinema più ricco, e poi lo stile del regista che non rinuncia a mostrare i muscoli con dolly, panoramiche ed ubiquità dello guardo continuamente ribadite. A completare il quadro l'opulenza della Florida, paese per vecchi dove l'america in pensione si rifugia nel tentativo di allontanare il profumo della morte. In questa versione ottuagenaria del sogno americano Bay pesca la storia (vera) che non ti aspetti e la traduce in immagini raccontando le gesta del bodybuilder Daniel Lugo e dei suoi sgarruppati amici decisi a cambiar vita a discapito di Victor Kershaw, uomo d'affari ricco ed antipatico che i tre decidono di rapire e derubare. "Io sono Daniel Lugo e credo nel fitness". Con queste parole inizia "Pain and Gain-Muscoli e denaro", il nuovo film del regista dei Trasformers. Un'affermazione destinata a diventare manifesto, se è vero che ciò che segue è il resoconto di un avventura picaresca e sghemba, incentrata sulla goffaggine e la stupidità di tipi umani la cui colpa maggiore è appunto quella di sostituire i muscoli al cervello. Lo dice il film attraverso le parole della voce over che commenta la conclusione della storia, c'è lo dicono le sue sequenze, ricolme di situazioni talmente assurde da metterne in dubbio la corrispondenza sul piano del reale. Ma la spontanea demenzialità di personaggi, come quello di Doyle (Johnson), un mezzo cervello ossessionato da Dio e dalla religione, ma anche di Doorbell (Anthony Mackie) alle prese con impotenza da steroidi e con il bisogno di soldi per poterla curare, intercettano alla perfezione le nevrosi di un paese malato di successo e drogato da un sogno che non esiste più. Bay bollato dall'infamia di un cinema conservatore e tronfio (lo stesso che veniva affibbiato a quello pur buono di Tony Scott, regista a cui Bay potrebbe in qualche modo essere accomunato) in questo caso dimostra di saper plasmare la materia, contaminando lo spettacolo con spunti di riflessione; così accanto alle peripezie del progetto criminoso messo in piedi dai tre protagonisti il film accumula spaccati di innocenza perduta e corpi privati di qualsiasi identità. Bay c'è li propone attraverso composizioni usa e getta, che alla maniera di Andy Warhol concentrano all'interno dello singola immagine la forza ed insieme il limite della loro presenza. In questo modo tutto viene messo sullo stesso piano, dal culto della forma fisica omaggiata nei templi della ginnastica "medicinale" ai pacchetti di autostima di Johnny Wu, imbonitore mediatico a cui Ludo si rifà per trovare il coraggio delle proprie azioni, con la vita e la morte a passarsi il testimone di un ordinario assurdo e miserabile. Il regista costruisce fotogrammi come si faceva all'indomani degli anni '80, con scorie di videoclip aggrappate al dopo sbornia di quegli anni. Tra dramma e commedia, "Pain and Gain" inganna la depressione dei suoi contenuti con un doping formale che confonde il suo messaggio. Alla fine più che la cartolina di un declino il film di Bay potrebbe essere il segno della sua restaurazione, con i valori americani pronti a rialzare la testa nello spaccato familiare idilliaco ed imperturbabile dell'investigatore Du Bois, seduto nel cortile in compagnia della moglie, ambedue impegnati a trovare la morale di quello che abbiamo visto. Una quiete dopo la tempesta, pronta ad ingoiarsi le disfunzioni di un sistema che non fa prigionieri. Per poi ricominciare, come nulla fosse mai stato.
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