Post di “alleggerimento” domenicale, e comunque in sintonia con gli argomenti solitamente trattati su questo blog.
Ieri ho visitato per la prima volta la bella Mantova (città che merita assolutamente una gita). Notevoli tutti i monumenti e gli edifici storici, notevolissimo Palazzo Te, vera e propria Mecca per chi ama l'arte, il rinascimento e, perché no, anche il mistero e l'esoterismo, inteso nel senso più nobile del termine. Un'esperienza rivelatasi gratificante e con quel sano gusto dell'esplorazione e della scoperta, che tendiamo a perdere con l'età adulta. Quel che segue è un breve vademecum sul palazzo, corredato da qualche immagine. Ovviamente non è paragonabile a una visita dal vivo, ma è ciò che posso fare per voi lettori.
Il Palazzo Te, costruito tra il 1525 e il 1534 a Mantova su commissione di Federico II Gonzaga, è l’opera più celebre dell’architetto italiano Giulio Romano. Verso la metà del XV secolo Mantova era divisa dal canale “Rio” in due grandi isole circondate dai laghi; una terza piccola isola, chiamata sin dal Medioevo Tejeto e abbreviata in Te, venne scelta per l’edificazione del Palazzo Te.
La zona risultava paludosa e lacustre, ma i Gonzaga la fecero bonificare e Francesco II, padre di Federico II, la scelse come luogo di addestramento dei suoi pregiatissimi e amatissimi cavalli.
Morto il padre e divenuto signore di Mantova, Federico, decise di trasformare l’isoletta nel luogo dello svago e del riposo, e dei fastosi ricevimenti con gli ospiti più illustri, ove poter “sottrarsi” ai doveri istituzionali assieme alla sua amante Isabella Boschetti. Abituato com’era stato sin da bambino all’agio e alla raffinatezza delle ville romane, trovò ottimo realizzatore della sua idea di “isola felice” l’architetto pittore Giulio Romano, che proprio a Roma aveva da poco realizzato delle opere decorative in alcune ville. Da canto suo, Giulio Romano, trovò in Mantova e nel suo committente l’occasione migliore per dare sfogo al suo genio e alla sua fantasia, riadattando le scuderie già esistenti e inglobandole nella costruzione, alternando gli elementi architettonici a quelli naturali che la zona offriva, decorando sublimemente stanze e facciate. (Fonte: http://www.medeaonline.net/)
(Palazzo Te - esterno)
Simbologia
I simboli e gli stemmi riempiono di significati più o meno celati e spesso politici, le pareti del palazzo e del suo voluttuoso proprietario. Il Monte Olimpo, ad esempio, circondato da un labirinto e che sorge dalle acque è un simbolo che spesso si ritrova, viene ripreso in elementi architettonici costitutivi del palazzo come le due ampie peschiere che attraverso un ponte portano al giardino, o come il labirinto in bosso (ormai scomparso) del giardino stesso.
Altro simbolo interessante è la salamandra, che Federico elegge come personale, assieme al quale spesso viene utilizzato il motto: quod huic deest me torquet (ciò che manca a costui mi tormenta); il ramarro infatti era ritenuto l’unico animale insensibile agli stimoli dell’amore, ed era impiegato come contrapposizione concettuale al duca e alla sua natura sensuale e galante, che invece dai vizi dell’amore era tormentato.
Le Sale
Il palazzo ha proporzioni strane: si presenta come un largo e basso blocco, a un piano solo, la cui altezza è circa un quarto della larghezza. Le varie sale che lo compongono sono quanto di meglio può sperare l'appassionato di arte rinascimentale.
Innanzitutto occorre citare la Sala dei Giganti (nella foto a inizio post potete vedere la volta), che da sola vale il viaggio fino alla città virgiliana. Essa ospita l’affresco della Caduta dei Giganti. Fu dipinto fra il 1532 e il 1535. ricoprendo la sala dalle pareti al soffitto con l’illusionistica rappresentazione della battaglia tra i Giganti che tentano di salire all’Olimpo. I particolari sono impressionanti, con tutti gli dei del pantheon greco-romano che assistono inorriditi la scalata dei bruti al loro regno celeste. Ciascun nume mostra una reazione differente, dal perplesso Apollo al terrorizzato Mercurio. Dal combattivo Ercole alla pavida Venere, che cerca protezioni nella braccia di Marte. Finché Giove tonante non interviene scagliando saette, che gettano distruzione e morte tra i Giganti, seppelliti dalle macerie delle loro torre abbattute. Una scena apocalittica che farebbe felici molti di voi.
(Sala dei giganti - dettaglio)
Sala di Amore e Psiche: è la sala da pranzo del duca. Interamente affrescata, ogni parete raffigura lussuriosa la mitologica storia di Psiche, è il simbolo dell’amore del duca per Isabella Boschetto.
Sala delle aquile: ossia la camera da letto di Federico ornata al centro della volta con l’affresco della caduta di Fetonte dal carro del sole, è finita da scuri stucchi di aquile ad ali spiegate nelle lunette agli angoli della stanza e affreschi di favole pagane.
Sala dei cavalli: Con i ritratti in grandezza naturale dei sei destrieri preferiti dei Gonzaga era la sala destinata al ballo. I cavalli, spiccano in tutta la bellezza delle loro forme su un paesaggio naturale che si apre dietro un colonne corinzie dipinte e che alternano i purosangue a figure di divinità mitologiche in false nicchie. Il soffitto in legno a cassettoni e rosoni dorati accoglie il monte Olimpo e il ramarro, i simboli del duca e il suo schema è ripreso dal pavimento donando simmetria all’ambiente.
Completano il complesso la Sala dei Venti (stupenda, forse la seconda nelle mie preferenze), quella delle imprese, quella di Ovidio, la Camera del Sole e della Luna, la Sala dei bassorilievi, la Loggia delle Muse e quella dei Cesari.
La grotta segreta
(Ingresso alla grotta segreta)
L’appartamento della grotta venne edificato verso il 1530 nell’angolo est del giardino vicino all’esedra che conclude lo spazio della villa. L’appartamento è composto da poche stanze di dimensioni molto più modeste rispetto a quelle del corpo del palazzo; una loggia che si apre in un piccolo giardino mostra ciò che rimane di un ambiente allora decorato ed affrescato.
Dal giardino si accede alla Grotta, stanzetta utilizzata come bagno, dalla realizzazione davvero insolita. L’apertura è realizzata come a dare l’idea si tratti di un ambiente naturale, di una caverna, non ci sono i marmi e i materiali ricercati del resto del palazzo, gli interni erano tappezzati di conchiglie (oggi scomparse) e giochi d’acqua dovevano allietare il visitatore e stupirlo al tempo stesso.
Qui sopravvivono alcuni affreschi di chiaro significato alchemico, che un tempo abbellivano l'intera grotta, evidentemente utilizzata come luogo di meditazione e di ricerca spirituale.
Le collezioni
Come se non bastasse il palazzo ospita alcune collezioni permanenti, due delle quali notevolissime: quella egizia e quella mesopotamica.
La prima si compone di oltre 500 pezzi raccolti da Giuseppe Acerbi, illustre mantovano, dal 1826 al 1834 Console Generale d’Austria in Egitto.
La collezione è completata da appunti di viaggio dello stesso Acerbi, da altri due reperti già presenti nell’Accademia di Scienze e Belle Lettere già dalla fine del ‘700 e dal sarcofago di Ankhekhonsu del Museo Archeologico di Bergamo, in deposito temporaneo.
La collezione mesopotamica è invece nata grazie a Ugo Sissa, artista, architetto, fotografo, pittore e colto viaggiatore. Dal 1953 al 1958 lavorò a Baghdad come Capo architetto del Governo e in quegli anni costituì una ricca collezione di reperti mesopotamici. La raccolta, rara nel suo genere, almeno in Italia, conta ben 250 pezzi, tra cui – e qui subentra il mio lato da scribacchino di genere – un vero amuleto del demone Pazuzu, il protagonista nientemeno che de L'esorcista e di tanti romanzi di Danilo Arona. Sarà solo suggestione, ma guardarlo inquieta non poco, soprattutto perché ha un che di ipnotico...
Questo è il sito ufficiale del palazzo. Se capitate in zona non esitate: visitatelo!