di Chiara Daino
Mio geniale Lettore,
quando leggerai quest’articolo – se Ronnie James, le schiere angeliche e i Pantheon tutti m’avranno assistito – sarò a Yakutsk lungo la «via delle ossa» cercando rifugio tra i ghiacci. Perché? Per la stessa inspiegabile ragione che spinge alcuni sceneggiatori horror a ritrarre i protagonisti come compiuti idioti: «non aprire quella porta!» è imperativo tradotto al contrario nei fatti scenici [«apri la porta che ti avvertii non aprire e làsciati massacrare da mostri d’ogni sorta!»]. Similmente, esistono tre norme fondamentali, imperiose ed imperative, per restare uno scrittore vivo:
1) Non rivelare agli sconosciuti, per quanto innocenza possano istintivamente ispirarti, la tua professione o slavina di dattiloscritti ti franerà addosso e folle armate di forcone tenteranno darti fuoco nel caso tu non esprima un parere [positivo, ça va sans dire] «entro sùbito»;
2) Non discutere di font con un informatico o sarai rinchiuso in un occhiello, sventrato dall’uncino, impalato all’asta verticale e finito a colpi di bodone;
3) Per nessun motivo, immanente o trascendente, formula la domanda: «il cantautore è un poeta?». Qualsiasi risposta tu ottenga, il risultato sarà il medesimo: sarai soppresso dai poeti, prima; resuscitato da un negromante, poi; giustiziato dai cantautori e nuovamente resuscitato dal negromante perché la tua pena sia uroborica ed infinita.
Regole che contravvenni dalla prima alla seconda. Mancava la terza per concludere la trilogia delle mie incoscienze ed eccomi ad intervistare i Palconudo [principiando proprio con l’interrogativo infernale], confidando in una qualche clemenza tra concittadini…1. Il primo febbraio irradierete sinestesia al Teatro della Tosse grazie allo spettacolo «La musica è la chiave», progetto concertato con Emiliano Morgia, un viaggio onirico fra musica e parole dei cantautori genovesi: Bindi, De André, Lauzi, Paoli, Tenco, … Per Voi, gli esponenti della scuola genovese dei cantautori – sono [anche] poeti? Per John Dryden la poesia è musica inarticolata, abitate lo stesso pensiero? E ancora: se la musica è la chiave, parallelamente, la parola è… ?
Elisa Castelli: *ineffabile, indicibile, inenarrabile* nella casa dei poeti come si può parlare di mistificazione del linguaggio? La poesia ARRIVA *arriva la musica* probabilmente entrambe danzano sui sentieri lastricati di silenzi, spazi e tempi – sullo svelamento e l’EVOCAZIONE. La parola talvolta tradisce il Vero, ma la poesia lo rievoca, lo invoca, lo DICE, così fa la musica.
Musica: chiave = parola: autobus (amico, qualcuno guida sto viaggio cosmico, tu siediti e godine).
Marco Pantella: se davvero esiste, alla scuola genovese abbiamo marinato spesso ma del resto… La scuola genovese è un istituto dove molti attualmente si credono presidi. Mi auguro che i Palconudo siano solo i bidelli che fischiettano le loro canzoni nei corridoi della scuola genovese. Magari potessi abitare lo stesso pensiero illuminato di Dryden! Piuttosto direi che al momento «abito quest’ombra con contratto ad equo canone pagando la pigione all’abitudine – prendendo l’eccezione come regola di vita – sto di casa al pianterreno e gioco a fare lo stilita».
P.s. Visualizzo una porta da aprire e non so cosa usare: la parola è la chiave, la musica è un ariete!
Alessio Fistarol: assolutamente sì! Tutti questi cantautori a modo loro si possono considerare dei poeti, di un altra epoca, ma con una sensibilità molto profonda nei confronti della musica e dei testi. Oggi mi sento onorato di avere la possibilità di riproporre alcuni loro brani, in chiave Palconudo: erano persone che raccontavano l’amore, la vita, … Con semplici parole… E se oggi tu mi chiedi «se la musica è la chiave la parola è… ?» devo essere sincero… Non lo so… A me basta sapere che la musica è la chiave, quella chiave che ti permette di aprire una porta, e ti dà la possibilità di entrare in questo splendido universo… Di musica.
Andrea Rinaldi: sì, per quanto mi riguarda sono decisamente poeti. Ho avuto la possibilità di rendermene conto piano piano, conoscendo progressivamente la musica di De André anche attraverso le parole di don Andrea Gallo, e percorrendo poi un percorso autonomo e collettivo con i Palconudo.
Se la Musica è la chiave, la Parola è la Serratura, il meccanismo meraviglioso che apre le porte, risveglia alla consapevolezza o semplicemente accarezza quell’idea di Eternità che solo le forme più alte di Arte sanno percepire e trasmettere.
Lorenzo Marmorato: il termine cantautore, secondo me, da quando è stato inventato, ha subito molte variazioni di significato. Ha voluto dire impegno, protesta, rivoluzione fino ad arrivare ai giorni nostri e si è quasi trasformato in snobismo e spocchia. Non dividerei il mondo dell’arte in cantautori, poeti, musicisti, etc., ma faccio una netta distinzione tra l’onestà e la disonestà. Tra chi ha bisogno di esprimersi e chi ha bisogno di “farsi vedere”.
Credo, per concludere, che i migliori poeti e/o cantautori siano coloro che non hanno la coscienza di esserlo.
Se la Musica è la chiave, la parola è un bel martello.
2. Palconudo: nomen omen? Onomanzia che, rapida, rapisce e riporta: «la verità è nuda, ma sotto il nudo c’è lo scorticato» e Valéry riassume ogni « γυμνόω » – artistico e umano. Quanto scorticato abita la Vostra Opera? Il braccio nudo cantato da De André come e dove trova o ritrova la capacità di volare?
Marco Pantella: la nostra opera è ormai inoperabile… Forse non è scorticata è proprio scomposta & politraumatizzata… Non cicatrizza mai. Prognosi riservatisssssima. Il braccio si è ferito irrimediabilmente quando scendemmo là, dove il giorno si perde..
Che si fa, Amputiamo ?
Andrea Rinaldi: il Palco talvolta è nudo come le nostre vite dopo che si è superato un crocevia importante. È nudo come una piazza di paese dopo una sagra, come il sagrato di una chiesa dopo un matrimonio. Ma questo fa parte della consapevolezza dei lati più ombrosi della vita. L’importante è come si riempie quel palco, come si vivacizza quella piazza, come si affolla quel teatro.
Leopardi insisteva nell’affermare che il preparativo vale in sé quasi più dell’evento; ma è nell’evento in sé che si sviluppano le trame e si vive appieno la gioia.
La verità è nuda, certo, ma può essere adornata di belle parole e di melodie senza alterarne il contenuto, anzi, rendendola più poetica e per così dire, memorabile, grazie a una forma artistica che sappia valorizzarla. Il braccio nudo ritrova la capacità di volare grazie alla musica, alla poesia, e alla forza propositiva che possono creare.
Alessio Fistarol: Palconudo… Un nome affascinante e emblematico allo stesso tempo, io sono l’ultimo elemento ad essere entrato in questa banda di poeti musicanti. Ma il significato di questo nome me lo sono dato da solo: Palconudo, nudo… Spoglio da ogni etichettatura, moda, genere musicale prestabilito. Nudo: solo noi e la musica che ci piace fare, non importa che sia commerciale o abbia un ritornello che deve prendere tutti alla gola… Nudo: onesto nei confronti di chi ci segue da anni. Noi siamo fatti così: la nostra musica nasce e sale sul palco così come è nata.
Lorenzo Marmorato: vero, sotto il nudo c’è lo scorticato ma, per ora, siamo ancora allo stato nudo. E per quanto mi riguarda questo termine indica la necessità del “fare”, senza facilitazioni, senza fare l’occhiolino tanto per… Il braccio nudo torna a volare quando si stringe attorno a qualcuno che è più nudo di lui.
3. I Vostri testi armonizzano lemmi e fraseggi dall’alto valore semantico e storico [archetipo/penombra antistante/il Mistero degli Eleusi/chimeriche designazioni/et cetera… ], rarità preziosa in tanto depauperare la Lingua. L’atto culturale che dimora le Vostre scelte, quanto Vi accomuna o Vi allontana da altri gruppi? Esistono gruppi che percepite come affini o complementari?
Marco Pantella: la personale mia ricetta Palconudo: Tom Waits, Vinicio, quanto basta di Afterhours e mezzo cucchiaino di Bersani. Un velo di Subsonica, un retrogusto di U2, sentori di Battiato, quando incontra Cristina Donà. Note fruttate di De Andrè quando assaggia le bacche di Marta sui Tubi e due foglie di Peter Tosh. Un chupito di Frankiehinrg e poi puoi spolverarci sopra i CSI a piacere. Servire freddo.
Andrea Rinaldi: probabilmente ci allontana da un certo tipo di musica più “omogeneizzato”, di pronto consumo per il pubblico, quantomeno a livello contenutistico. A questo si contrappone comunque un impianto musicale con un orientamento comunque ispirato proprio dalla musica popolare.
Le canzoni nascono acustiche e vengono piano piano elaborate da tutti e sei gli elementi, in base a un processo di influenza reciproca molto creativo, anche se talvolta “drammatico”. Proveniamo tutti da “scuole” musicali diverse e all’apparenza eterogenee, che trovano una sintesi proprio in questo gruppo. Del resto, l’unità di intenti e l’impulso creativo aiutano a superare certe barriere apparentemente insormontabili di genere. Ma il testo arriva già completo, raramente gli si mette mano, l’opera demiurgica è pressoché perfetta come ci si rivela. Io non sento di avere molti riferimenti, non posso parlare di affinità con giusta causa.
Alessio Fistarol: beh, sicuramente il nostro stile diciamo che non è propriamente ”commerciale”… Ci allontaniamo da un certo target di musica facile, popolare o radiofonica… I nostri testi sono, per certi aspetti, molto articolati, non facili alla prima lettura o ascolto. Ma tutto questo è Palconudo…
Lorenzo Marmorato: generalmente non mi va di fare confronti o di cercare somiglianze, anche se qualche volta ci casco. Credo che le canzoni siano uniche, perché dentro non c’è solo la parola e la musica, ma c’è il momento, c’è chi sta ascoltando, c’è l’aria che si sta respirando. Questa sinestesia è irripetibile. Non mi occupo dei testi, fortunatamente abbiamo trovato un equilibrio tale per cui ognuno lavora su ciò che gli è più congeniale e devo dire che c’è molta fiducia nella competenza di ciascuno.
4. In qualità di musicisti [e sgrano parentesi sollecitando risposta collettiva ché, por ejemplo, bassisti e batteristi, escludendo Lemmy e Lars, raramente sono interpellati e ancor non svello spiegazioni soddisfacenti] – come vivete il rapporto tra ritmo e testo? Tra spartito e libretto?
Marco Pantella: musica vs testo? Più o meno funziona così: intoni un canto penitenziale. Poi esci e passeggi fischiettando o a capo chino. Poi suggi avido dal circo del mondo reale e gli accadimenti si fanno parola. I numeri che avevo preventivamente messo sullo spartito fanno posto alle parole. Se c’era un 22 diventa un “senza te”. Se era un 12 diventa “liberi”. Adesso per esempio su un “5012″ scrivo: “servo della metrica”…
Andrea Rinaldi: ah, che domanda! Io vivo più un rapporto di amore e odio con Marco, suonando entrambi la chitarra. Questo gruppo è croce e delizia, sento di trovarmi perfettamente a mio agio e al tempo stesso di impiegare una percentuale relativamente bassa delle mie capacità. In realtà le cose funzionano quando certe nostre individualità si mettono al servizio della musica. Lì non è più importante cosa si suona e quanto, ma la qualità di ogni singola nota, di ogni suono che esce dallo strumento.
Certo, alla base di tutto è necessaria una base ritmica solida, ma Alessio e Lorenzo sanno cosa devono fare e lavorano in grande sinergia.
Alessio Fistarol: ritmo e testo… Beh, la poesia è assolutamente ritmica: ci vuole una certa metrica per narrare una poesia come cantare un testo di una canzone, il bello dell’arte in generale è che tutto è connesso, tutto si può evolvere e migliorare, poi da batterista avverto sempre il ritmo, il tempo, la dinamica… In tutte le cose: il ritmo è parte della nostra vita.
La Ela quando canta per me diventa un tamburo… Un timpano… Un martello che spacca il tempo a ritmo di poesia… Il ritmo è sempre presente, anche quando parliamo: se dici «ti amo»
a una donna sicuramente i BPM saranno diversi rispetto a quando mandi a quel paese uno al semaforo…
Lorenzo Marmorato: per me non c’è una grande differenza tra ritmo e testo. Le parole hanno musicalità e ritmica, la musica ha significato e comunica. Sono convinto che è importante sgranare bene una parola, dare la giusta intenzione ad un concetto, che non vuol dire semplicemente pronunciare. Così come è importante avere groove,che non vuol dire andare a tempo, ma essere il tempo.
5. «Sono una donna e una seria artista, e gradirei essere giudicata per quello»: sic!, così Maria Callas. E trovando orrorifico e discriminatorio il termine poetessa – curioso sapere da Elisa se i suoi cromosomi le affaticarono il passo o se la sua voce inimitabile vinse ogni etichettatura [peraltro cacofonica come cantautrice].
Elisa Castelli: (sono una donna e una seria artista) la Divina non si sarà scelta né parenti né cromosomi, è stato il Fato ad assegnarle ruolo e parte INETTICHETTABILE – io invece, nel mio microcosmo genovese – leivino (che guarda la Magna quasi di fronte) posso citare la grande Loredana non sono una signora, una con tutte stelle nella vita, inchinandomi a quelle – arditamente le migliori – in eterna LOTTA COI PROPRI CROMOSOMI.
Sfumando sul finale, per citarvi e ringraziarvi [ancóra e sempre], appetirei ognuno di Voi rispondesse alla domanda che nessuno mai Vi pose ma che, segretamente, aspettate per strappare al silenzio un moto che urge per emergere…
Marco Pantella: ah, la domanda a piacere? «… Oh tipo… Io e la mia amica siamo appena arrivate a Genova… Ci stai dentro a tirarti due storie malate con noi ?».
Andrea Rinaldi: io ne ho una, un sasso gigantesco… «Ma sei un metallaro?». NO, non sono un metallaro! Ascolto pochissimo metal, lo suono e ho allievi che lo ascoltano e lo suonano, ma lo ritengo una catarsi e un esercizio! Amo le distorsioni dei Dream Theater come amo il suono rotondo e caldo di Joe Pass. Amo la musica e basta. Quella italiana in particolare, anche di cantautori insospettabili (sì, proprio loro!).
Alessio Fistarol: domanda a piacere: non saprei… Anche perché se mi facessi una domanda da solo, non saprei rispondermi. Sarei in imbarazzo.
Lorenzo Marmorato: per quanto riguarda l’autodomanda credo che glisserò educatamente, perché di solito, come avrai notato, la mia risposta è sempre fuori tema.
E, seguendo il sentiero delle risposte, Petit Poucet che tutti siamo e tutti sgraniamo [pupille, pixel, passioni], Dama – bramendo lungo la «via delle ossa» – brinda ai Palconudo (video 1 e video 2)