Stasera, durante il primo set di un concerto abbastanza noioso, pensavo alla mia versatilità: posso stare giù dal palco e criticare i suonatori, così come posso stare sul palco ed essere criticata a mia volta.
La prima delle due situaziomi è quella più ricorrente – e lo sa Iddio quanto vorrei essere non io la giudicatrice, ma la giudicata. Ovvero: suonare.
Stasera, dicevo, solito festival jazz.
Primo set, dicevo, abbastanza noioso – ma è un mio limite: non sopporto l’avant-garde jazzistica, cosi come non sopporto la cacofonia, la mancanza di melodia, l’assenza dell’impalcatura armonica – tutto quello che definisco con la parola “piacere”. Ma, ripeto, è un mio limite: son di gusti popolari, io, son di bocca buona.
Son provinciale, e sono terribilmente critica; anche con i colleghi, anche con gli spettatori. E non ho mica tutti i torti, diamine! Provatevi a cercare di ascoltare un concerto di stampo intimistico, con almeno metà degli spettatori affetto da tosse grassa, tosse secca, raucedine, tossetta nervosa, raffreddore, tisi e tutti i disturbi alle vie respiratorie possibili e immaginabili. Che poi, vai a sapere perché, ma in qualsiasi teatro vada c’è sempre una signora seduta proprio dietro a me, intasata come un lavandino pieno di capelli, che quando non soffia il naso scambia allegramente opinioni ad alta voce col vicino o con la vicina, ovviamente durante un solo:
“Ma guarda che bella quella batteria lì, eh?”
“Ah, bellissima: ha proprio un colore che mi piace”
(la batteria in questione è una normalissima Yamaha, bel suono ma esteticamente banale).
Davanti – e può succedere a un concerto di classica come a uno di musica pop – ho sempre un armadio d’uomo che mi blocca la visuale.
A sinistra c’è qualcuno che si appisola: sento prima il respiro regolare, poi un leggero rumore che temo possa crescere d’intensità.
A destra, qualcuno che armeggia col cellulare, luminosità al 100% in un teatro buio al 95%. Yeah.
E in mezzo a tutto questo ci sono io, raccolta nella mia poltroncina rossa. Osservo, ascolto, rifletto. E mi chiedo se, in tutta questa mancanza d’educazione, qualcuno avrà da dire se mi sfilo le scarpe col tacco.