Anna Lombroso per il Simplicissimus
Si chiama Innova Wind – e figuriamoci se anche nel nome i nuovi Attila non si richiamano alle magnifiche sorti e progressive della modernità – e ha presentato alla Provincia di Orvieto il suo progetto di sviluppo di una parco eolico sul Peglia alle spalle della città e del suo Duomo. Ma mica è una piccola, modesta installazione, no, si tratta di diciotto torri di 150-180 metri ciascuna, di cemento con un dispiegamento di pale pesanti e rumorose che eserciterebbero una formidabile pressione ambientale non solo sulle località di San Venanzo e Parrano, che ospiterebbero tre dei nuovi mostri, ma su tutti i territori dell’Orvietano, visibili a Orvieto e, forse, fin addirittura a Perugia.
Ieri ambientalisti, amministratori locali, cittadini hanno marciato su Orvieto, convergendo sotto al Duomo, quel gioiello straordinario dietro al quale presto potrebbero stagliarsi quegli inesorabili e tremendi monumenti a una modernità regressiva e oltraggiosa della bellezza, del paesaggio e del buonsenso.
È che ormai le rinnovabili sono un tabù, in loro nome si possono compiere misfatti a danno delle cittadinanze e dell’ambiente e a beneficio di nuovi speculatori, fortemente permeabili alla criminalità organizzata che ha fatto dell’eolico un business profittevole, grazie ad azioni pubbliche propiziatrici, a misure di incentivo spericolate e a spregiudicate “semplificazioni”, se a seguire l’iter e a istruire i procedimenti in materia è la Provincia, mentre i Comuni svolgono solo adempimenti burocratici e hanno la possibilità di esprimersi, con un parere non vincolante, in conferenza dei servizi, proprio come le sovrintendenze, ridotte a convitati di pietra superflui e fastidiosi.
Le regioni del Mezzogiorno sono state occupate militarmente, ora la “penetrazione” si sposta più su, sale verso territori affamati di energia, che beneficiano di rose dei venti pigre e riottose magari, ma di significativa insolazione. E’ negli anni si è dispiegata una strategia ben poco rassicurante in favore dell’energia del vento, lungo tutti di governi Berlusconi ed oltre, promossa in primo luogo dal Ministro Matteoli, del quale nessuno avrebbe sospettato l’amore per il nostro patrimonio artistico, che difese la proliferazione indiscriminata di pale con la frase ormai proverbiale, pronunciata in assise europee: non siamo mica la Germania, l’Italia non può permettersi il fotovoltaico. Mica vorrete piazzare i moduli sul Colosseo o Palazzo Strozzi. Come se il gotico fosse una produzione minore, come se la Germania non fosse un paese freddo e poco soleggiato, come se a mettere ordine in approvvigionamento, fonti, sfruttamento efficiente non bastasse una seria programmazione delle risorse e uno scambio di produzioni organico: tu dai di notte il tuo nucleare a me e io do di giorno il mio solare a te. E come se la Gran Bretagna non avesse scelto la strada più compatibile dell’offshore, così come la Danimarca, mediante piattaforme di piccole emdie dimensioni, efficienti e poco invadenti anche da una punto di vista meramente estetico.
È che ci vorrebbe una strategia continentale e regionale efficace e razionale, ch l’Europa non ha saputo e voluto garantire, come in tutti gli altri campi, per perpetuare la divisione e le disuguaglianze che la fanno potente, tra un Nord pingue e benestante e un Sud propaggine africana, che si può anche consegnare agli interessi criminali, ufficiali e non.
In nuovo Piano energetico continua sulla strada dell’occasionalità, le rinnovabili sono la bandierina sventolata per tacitare chi pensa che la crescita qualora di rimettesse in moto dovrebbe essere necessariamente sostenibile, che l’energia è un bene comune e come tale deve essere sicura, compatibile, efficiente. Lasciandole comunque nella gamma delle azioni di nicchia, tagliando gli incentivi, a meno che, come in questo caso, dietro alle fonti green non ci siano formidabili e sospetti interessi. E duole che a marciare con i cittadini e una buona parte die loro amministratori, ci fossero associazioni spesso irrise, quelle definite un tempo territorio privilegiato delle contesse e delle pie dame. Come se la difesa del paesaggio e della sua armonia, della bellezza dell’arte, della cultura e della storia fossero beni cui si può rinunciare in nome della necessità, del realismo, della concretezza.
Ancora una volta siamo di fronte a un test compiuto dall’ideologia di regime, per misurare il grado di sopportazione dei cittadini di fronte agli oltraggi commessi nei confronti delle loro geografie, dei loro posti che sono anche i posti dell’anima, l’heimat. È tempo di dimostrare che i test parlano chiaro: non accettiamo più le offese, gli schiaffi, non sopportiamo più che l’unico Bel Paese rimasto sia quello Galbani.