Erkete enan kerò ja’ pasa prama. Viene un tempo per ogni cosa: questo il tema scelto per la nuova edizione dell’ormai attesissimo Paleariza, il festival etno-musicale che si svolge nell’area grecanica di Reggio Calabria. Fin dalla prima edizione, datata 1997, questa manifestazione ha infatti saputo conquistarsi un posto fra gli eventi più interessanti dell’anno. Gruppi musicali, provenienti dai numerosi paesi che si affacciano sul Mediterraneo (e non solo), fanno rivivere, attraverso magiche atmosfere, i borghi tipici dell’entroterra reggino. In una terra, la cui storia si lega inesorabilmente alle antichissime popolazioni che hanno solcato il Mare Nostrum, la musica etno-folkloristica rappresenta un viaggio attraverso le nostre radici e risveglia ricordi ancestrali. Chi non ha mai partecipato ad una di queste serate non può immaginare l’atmosfera in cui si viene catapultati. Paesi ormai semi abbandonati, vengono fatti rivivere (seppur per qualche serata). L’odore del gelsomino si mischia al profumo del pane e del vino, mentre i colori caldi del tramonto cedono il passo alla notte e alla musica che travolge e avvolge ogni cosa. La manifestazione è itinerante: si svolge nell’arco di agosto, proponendo generalmente una ventina di serate differenti, nei paesi che compongono l’area grecanica (Africo, Bagaladi, Bova, Bova Marina, Brancaleone, Condofuri, Gallicianò, Amendolea, Melito di Porto Salvo, Pentedattilo, Palizzi, Staiti, Roghudi, San Lorenzo) e nel corso delle edizioni si sono susseguiti grandi nomi della musica (solo per citarne alcuni ricordiamo Noa, Hevia, Eugenio Bennato, Angelo Branduardi). Quest’anno, così come è avvenuto per i primi tredici anni, la direzione artistica ritorna nelle mani dell’antropologo Ettore Castagna. Ed è proprio a lui che mi sono rivolta per farmi raccontare la storia del Paleariza e qualche piccolo segreto.
Può raccontarmi come nasce Paleariza? Quali principi e quali idee stanno alla base di un evento diventato così atteso?
«Paleariza nasce nel 1997 da un gruppo di lavoro di Bova che mi vedeva coinvolto come musicista e antropologo e anche con l’apporto di vari soggetti esterni al territorio. Si tratta da sempre di un progetto che guarda all’area interna dell’Aspromonte Greco come un luogo sia reale sia simbolico sul quale costruire un progetto di sviluppo. Paleariza intende essere un marchio d’area, un volano per la promozione e la leggibilità del territorio. È venuto naturale che, quasi da subito, ne abbia assunto la gestione politica il G.A.L. che è un’agenzia di sviluppo rurale. Paleariza è un evento atteso perché ha saputo costruire una proposta che va al di là del festival. Si tratta di una porta di accesso all’intero territorio grecanico attraverso la musica, il trekking, la rilettura critica delle tradizioni locali».
Durante tutti questi anni, il Paleariza ha subito una sua evoluzione? Cosa è cambiato e cosa invece si è voluto conservare?
«Sull’evoluzione del festival il discorso è lungo e complesso. Se è per questo il festival ha subito vari momenti di crisi come momenti di rilancio. Io posso parlare solo della mia esperienza di direttore artistico improntata allo scambio culturale, il confronto delle idee, delle musiche e delle proposte superando campanilismi e provincialismi. Non mi interessano le formule preconfezionate e commerciali che tanto vanno di moda ora, come le tarantelle al chilo di tanti festival, oppure la retoricizzazione a tutti i costi dei patrimoni locali».
Qual è il segreto, secondo lei, del successo di questa manifestazione culturale?
«Il segreto è segreto potrei dire. Quello che posso dire è che il segreto sta tutto nella cultura della proposta e di chi siede al volante. Dopo di che ricette vere e proprie non ce n’è».
I gruppi musicali che si esibiscono durante le serate sono sempre di alto livello culturale. Avviene una selezione? E quali sono i criteri di scelta?
«È ovvio che ci deve essere una selezione. Io durante l’inverno compro CD e brani da iTunes, studio, leggo, mi informo. Anche questo è ovvio. Quasi banale direi. Poi nella pentola vanno il knowhow personale e l’esperienza di musicista e di antropologo. Ovviamente si fanno scelte che non lasciano tutti contenti. Talvolta il pubblico vorrebbe altro ma qualcuno il timone lo deve pur tenere. Il festival in molti anni ha proposto artisti sconosciuti che poi sono diventati star. Qualcuno talvolta mi ha detto ma “tizio” non lo hai mai invitato. Ti sbagli, c’era. Leggi bene i programmi degli scorsi anni. Al concerto non sei venuto tu, forse. Abbiamo anche proposto star ma compatibilmente al nostro discorso, non al loro».
Cosa significa per lei ricoprire il ruolo di direttore artistico del Paleariza?
«Mi interesso ai Greci di Calabria e all’Area Grecanica dal 1979. Ero ancora al liceo. Io sono straniero qui. Sono di Catanzaro. La Calabria greca ha cambiato la mia vita. Dirigere Paleariza per me va oltre il fatto professionale. È un fatto di gratitudine verso un luogo, verso quelli che lo abitano e lo hanno abitato, e verso gli insegnamenti che ho ricevuto facendo ricerca da queste parti già in anni lontani oramai. Ego imme tipote. Io non sono niente. Non ho sedie da occupare. Rispondo a chi mi chiama. Se mi chiama».
Ricordiamo che il Paleariza non è solo musica, ma intorno ad esso ruotano altre attività volte alla conoscenza e al rilancio del territorio. Il programma è on-line già da qualche tempo, e potrete consultarlo sul sito http://www.paleariza.it/.