Posteggiatori abusivi.
Posteggiatori abusivi che colonizzano, amministrano e occupano piazze, vie e spazi pubblici.
E poi Palermo.
Palermo è simbolicamente popolata dalla loro costante richiesta di un’offerta (chiamasi in gergo “caffè”), dalle loro proteste e dalle loro minacce. I quotidiani locali si fanno i bagni di notizie che sottolineano la gravità del fenomeno: posteggiatori che minacciano chi si rifiuta di pagare, che estorcono, pretendono e danneggiano auto, che picchiano vigili urbani, che sparano ai gestori/competitors di un parcheggio privato, che spaccano i vetri delle auto in pieno centro, che aggrediscono con coltelli e tagliabalse chi non cede alle loro richieste; posteggiatori collusi con la mafia locale e intere famiglie che monopolizzano abusivamente ogni tipo di spazio pubblico, tanto che, se dovessimo disegnare la carta geo-politica della città, dovremmo inserirli di prepotenza, quasi.
Questi individui, infatti, si distribuiscono pervasivamente su tutto il territorio palermitano: li ritroviamo alla Stazione Centrale, a piazza Borsa, a piazza Spinuzza, dietro il Teatro Massimo, attorno al Politeama, dietro le Poste Centrali, all’Ospedale dei Bambini, alla Cala, a piazza Magione, tra i vicoli di via Dante, a Piazza Marina, dietro, davanti e accanto commissariati di polizia, banche, centri commerciali, velodromi, stadi… ovunque. E ovunque anche l’atteggiamento ambivalente dei cittadini, che se da un lato riconoscono la gravità e il fastidio della loro richiesta, dall’altro non fanno corrispondere a questo riconoscimento un atteggiamento civico di autentica opposizione. Piuttosto, lasciano la monetina o cercano il posteggiatore di zona (invece di un VERO posteggio!) per lasciargli le chiavi e smollare la loro macchina in doppia fila, rinforzando positivamente il fenomeno. Le zampine dei nostri concittadini saranno così comodamente salve e i loro acquisti saranno altrettanto comodi e protetti. Pace all’anima loro!
Pure a me in effetti, nel tempo, i posteggiatori abusivi hanno fatto qualche favore: mi hanno rubato la macchina, bucato una ruota, poi sgonfiato un’altra ruota e di recente mi hanno anche ricamato a punto croce sulla carrozzeria; l’ultima perla è una croce latina sul culo della macchina. A un certo punto, raggiunta la saturazione da nervi-quotidiani-da-evitamenti-di-infiniti-posteggiatori = ritardo-a-ceneaperitiviappuntamenti-causati-dalle-ricerche-di-liberi-posteggi, mi sono detta: io “a questi” li odio tutti. Facciamoci una tesi sopra e vaffanculo. E così fu.
Eccovi quindi i risultati del polpettone uscito fuori da 9 mesi di gravidanza mentale: non dobbiamo parlare di “posteggiatori abusivi”, ma di “posteggio abusivo”, perché, come ci dice Orlando, a Palermo il problema del posteggio abusivo “riguarda posteggiatori e posteggianti”:“non esiste il posteggiatore abusivo se non c’è chi posteggia abusivamente”. Tutto qui.
Ma a noi cortigliari sociali non ci basta. A uno sguardo attento, ci preme dire, la distinzione fra i due universi “posteggiatori”/“cittadini-medi”, “legalità”/“illegalità” diviene labile e sfumata: a Palermo il problema del posteggio abusivo è causato anche da quei cittadini disponibili ad agire collusivamente con questo problema sociale; infatti, nel momento in cui la pretesa-di-caffé del posteggiatore abusivo è ritenuta utile da un cittadino che la “usa” e che la “richiede”, essa viene ufficiosamente legalizzata in quanto valida e lecita. Ed è accettata e non condannata né incuetata in quanto “legalità nascosta alla luce del sole”[1].
Chi è quindi il vero stronzo? Carnevale o chi ci va appresso?
Questa domanda apre una finestrella interessante sulla qualità della cittadinanza palermitana: i cittadini palermitani (la maggioranza di essi almeno) NON possiedono un’adeguata identità civica. Le manifestazioni di cittadinanza attiva che negli ultimi anni colorano la città NON riescono purtroppo a rappresentare un’alternativa efficace alla cultura dell’abusivismo e dell’illegalità; la reciprocità, la cultura della convivenza e della fiducia sociale, lo slancio volitivo e la partecipazione concreta sono appannaggio di ristrette élites volontaristiche di nicchia che – pur donando bile, organi vitali e tempi altrettanto vitali alla giusta causa-Palermo – NON riscuotono il reale sostegno della stragrande maggioranza della popolazione.
Ci sono ricerche che ci dicono – sgradevolmente, devo ammetterlo, ma è ‘a virità – che a Palermo la legalità e la democrazia “non trovano rispetto e tutela”[2] e che rilevano nella maggior parte della cittadinanza un’alta percezione di normalità e di abitudine al fenomeno mafioso ed “un senso di assuefazione o di accettazione alla convivenza” con esso[3], dato confermato dalla bassa incidenza di denunce di atti criminali da parte della popolazione. Così, come enuncia il cosiddetto “paradosso della normalità”, tutto si consuma come se fosse normale e si eleva a normalità qualsivoglia forma di devianza[4].
Qualche altra ricerca ci conferma queste tristi verità e ci mette pure il carico da undici: i cittadini palermitani sono affetti da un deficit strutturale primario identificabile nell’assenza di un adeguato “senso di comunità”; inoltre, come evidenzia la loro “bassa capacità di mobilitazione delle tematiche politicamente più urgenti”[5], sono/siamo pure incapaci di assumere un ruolo politico (dove politico non equivale allo stare dalla parte di un partito, ma all’operare per il bene della polis, ovvero della comunità intesa come bene comune).
E scrive in merito un luminare romano di nome Renzo Carli che al Sud Italia il clientelismo occupa “ogni spazio della società civile” e il senso del bene comune è orientato da “un diverso modo di regolare i rapporti; in particolare ‘i sistemi di potere senza competenza’ e il familismo. Contemporaneamente, mentre l’‘ambizione personale’ e il ‘lavorare sodo’ sono agli ultimi posti nei fattori ritenuti di successo nella vita, l’essere di famiglia ricca, il conoscere le persone giuste, l’avere appoggi politici sono ai primi… La spesa richiesta per i sussidi di disoccupazione supera quella richiesta per creare nuovi posti di lavoro”[6].
Palermo, quindi – dicono anche i risultati della mia tesi – paga i posteggiatori abusivi perché è un territorio ammalato di collusione, vittima di uno “sviluppo drogato” dalla sua grande madre Mafia[7].
110, lodi e tristezze sparse.
E comunque, “la mafia non esiste” (S. Cuffaro).
[1] Dal Lago A., Quadrelli E. (2003), La città e le ombre: crimini, criminali, cittadini, Feltrinelli, Milano.
[2] Coppola E., Giordano C., Giorgi A., Lo Verso G., Siringo F. (2011), Trame di sviluppo. Il volontariato e la ricerca psicologica per il cambiamento in territori difficili, Franco Angeli, Milano.
[3] Ibidem.
[4] Dino A. (2002), Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, La Zisa Edizioni, Palermo.
[5] Sempre Coppola et alii.
[6] Carli R., Paniccia R. M. (2003), Analisi della domanda. Teoria e intervento in psicologia clinica, Il Mulino, Bologna.
[7] Caleca A., Oltre il pensiero mafioso, in Giunta S., Lo Verso G. (2011) (a cura di), La Mafia, la Mente, la Relazione: studi gruppoanalitico-soggettuali, CSR “Centro Studi e Ricerche Ermete Ronchi”, quaderno report n° 15 – pp. 275-276.