Palestina e israele, un conflitto lungo sessant’anni

Creato il 30 novembre 2012 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

È soltanto di qualche settimana fa la notizia della ripresa degli scontri tra Palestina e Israele, già divisi da un muro di cemento costruito dallo stato ebraico nel tentativo di tenere sotto controllo le infiltrazioni di terroristi e da un altro muro, molto più duro da abbattere, fatto di odio, violenza e diffidenza reciproca.

Una storia che ormai, a fasi alterne, si trascina da più di sessant’anni, ovvero da quando, nel 1947, le Nazioni Unite decisero di creare in Palestina uno stato ebraico, riconoscendo il diritto ai coloni già presenti sul territorio di avere una propria nazione e dividendo il territorio in previsione di una massiccia immigrazione di ebrei che sarebbero tornati in patria dopo una millenaria diaspora e dopo le persecuzioni naziste e staliniste. Gli ebrei erano sì un terzo della popolazione residente, ma la spartizione dei territori incontrò la netta ostilità degli arabi, che erano la maggioranza e che si vedevano tagliati fuori sia dall’accesso al mare che dalle risorse idriche della Galilea. Quando gli inglesi ritirarono le proprie truppe, si scatenò una vera e propria guerra civile e la Palestina fu martoriata dai massacri perpetrati da gruppi militari e paramilitari sionisti ed arabi. I primi addirittura elaborarono un vero e proprio piano di pulizia etnica, che prevedeva l’attacco a insediamenti posti in territorio nemico, la distruzione dei medesimi e l’espulsione degli abitanti arabi: con queste direttive, le formazioni paramilitari estremistiche d’Israele si macchiarono di crimini piuttosto gravi, come il massacro di Deir Yassin. L’autoproclamazione dello stato d’Israele da parte di Ben Gurion fu l’occasione per gli arabi di scatenare una massiccia offensiva contro la neonata nazione, nel tentativo di soffocare le pretese israeliane sul nascere, ma le forze militari riunite sotto la stella di Davide resistettero all’urto e contrattaccarono, occupando militarmente la Palestina.

I generali Ariel Sharon e Moshe Dayan (corbisimages.com)

Quella del 1948 fu soltanto la prima delle numerose guerre che lo stato d’Israele si è trovato ad affrontare per mantenere la propria integrità territoriale, il tutto a scapito della popolazione palestinese residente in quei territori e costretta all’esilio forzato o a vivere in condizioni di estrema miseria. Nel 1956 la crisi del canale di Suez e il blocco del medesimo per le navi israeliane fu il pretesto per attaccare l’Egitto e conquistare il Sinai e nel 1967 il conflitto tra Israele e gli stati vicini si riaccese, con la “Guerra dei sei giorni”, un attacco preventivo dello stato ebraico contro i propri vicini che portò di nuovo alla conquista del Sinai, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan. I cosiddetti “Territori Occupati” divennero motivo di nuovi contrasti: la destra nazionalista israeliana li vedeva come territori da annettere definitivamente e in essi si stabilirono coloni armati spesso legati a questi gruppi estremistici, creando situazioni di tensione che ricordano quelle che persistono tuttora nell’Irlanda del Nord. Se è vero che nell’ultimo ventennio non ci sono stati episodi di guerra aperta con gli stati vicini, è anche vero che rimane tuttora irrisolto il problema del conflitto tra palestinesi ed israeliani: dopo faticose trattative si è giunti sì al riconoscimento dello stato palestinese, ma fino a quando tra le due nazioni continuerà ad esistere un muro, fatto non solo di cemento armato ma anche di diffidenza ed odio, sarà davvero dura vedere tornare la pace in quella regione.

In questo senso, ieri l’Onu si è pronunciata approvando a larga maggioranza una risoluzione che accoglie la Palestina all’interno dell’organizzazione come Stato Osservatore. Un gesto che forse avrà scarsi risvolti pratici, un gesto simbolico comunque molto forte che sancisce la definitiva legittimazione internazionale dello stato governato dall’organizzazione politica di Hamas.


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