Il documento 1-2-2016 La Francia riconosce lo Stato palestinese
di Mario Paolini, Valerio Baldissara e Valentina Verze (cooperanti in Palestina)
“Un’analisi delle cause dell’escalation di violenza di questo ultimo periodo a Gerusalemme, in Cisgiordania e Gaza: dai crescenti attacchi dei coloni ai palestinesi a quelli di alcuni giovani dei Territori occupati nei confronti di israeliani, fino alle speciali misure di “sicurezza” emanate dal gabinetto di sicurezza israeliano.
Un ritratto a tinte fosche dell’attuale situazione e un invito, come Ong, a tutta la società civile internazionale a mobilitarsi e a fare pressione sul governo di Israele perché cessi le violazioni dei diritti umani e della legalità internazionale, incluso il blocco della striscia di Gaza (al centro della campagna #opengaza!). Nella convinzione che “solo la fine dell’occupazione, il rispetto della legalità internazionale, incluse le risoluzioni delle Nazioni Unite, e il riconoscimento di pieni diritti per i palestinesi possa portare ad una pace giusta basata su libertà, uguaglianza e giustizia per tutte/i in Palestina e Israele” (Redazione di COSPE).
Dal 1 ottobre la situazione politica nei territori palestinesi occupati e in Israele ha subito un rapido deterioramento con una escalation di attacchi e scontri violenti che hanno causato un alto numero di vittime: i morti sono ad oggi 7 tra gli israeliani e 41 tra i palestinesi, mentre i feriti sono rispettivamente 87 e oltre 2.000 secondo Al Jazeera.
Questa esplosione di violenza che coinvolge entrambe le parti ha radici profonde nel processo di colonizzazione, nell’occupazione militare e nella negazione del diritto alla autodeterminazione del popolo palestinese (…) La mancanza di prospettive politiche per una soluzione del conflitto basata sulla fine dell’occupazione e sul riconoscimento dei diritti dei palestinesi sta vanificando le speranze di pace e giustizia di un intero popolo (…) Molti giovani si sentono oggi traditi da leader che ritengono corrotti e co-optati e si mobilitano non avendo altro orizzonte politico che la loro azione di ribellione all’oppressione israeliana.
Il governo israeliano con le sue politiche, inoltre, alimenta lo scontro tentando di trasformare un conflitto politico in conflitto religioso. Nelle ultime settimane il clima è stato reso sempre più incandescente dalle continue provocazioni di gruppi della destra nazionalista Israeliana nella spianata delle moschee e dalle restrizioni di accesso per i fedeli musulmani. Gerusalemme ancora una volta è al centro del conflitto.
In questo clima di tensione il 16 settembre il governo israeliano ha dato il via libera all’utilizzo anche a Gerusalemme di proiettili veri, già ampiamente usati con risultati letali contro i manifestanti in Cisgiordania.
Organizzazioni per i diritti umani, anche israeliane (tra queste Btselem, Yesh Din) hanno accusato le forze di sicurezza di un uso eccessivo della forza e in alcuni casi di vere e proprie esecuzioni sommarie. Inoltre hanno denunciato l’incitamento rivolto alle forze di sicurezza a compiere uccisioni extragiudiziali da parte di rappresentanti delle istituzioni israeliani, come il capo della polizia di Gerusalemme, Moshe Edri, (“chiunque accoltelli un ebreo o ferisca un innocente deve essere ucciso”), o il Ministro della Sicurezza, Gilad Arden (“tutti i terroristi devono capire che non sopravvivranno all’attacco che stanno per compiere”). In questo clima non si cerca di neutralizzare l’attentatore (o presunto tale) e arrestarlo, ma lo si condanna a morte senza processo. Queste dichiarazioni pubbliche, abbondantemente amplificate dai media, hanno creato un clima dove diventa normale che un presunto terrorista sia freddato da un poliziotto israeliano dopo l’incitamento da parte di una folla inferocita o che una donna che poteva essere facilmente bloccata dagli agenti che la circondavano venga invece crivellata di proiettili, come si è visto in molti video che circolano su internet.
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha varato misure speciali di sicurezza: interi quartieri palestinesi di Gerusalemme Est sono sotto assedio, circondati da cubi di cemento che chiudono le strade e da posti di blocco, con una presenza imponente di unità delle forze di sicurezza. Sono state eseguite demolizioni delle case degli attentatori o presunti tali, lasciando spesso senza tetto più famiglie che vivevano nello stesso edificio. È stato inoltre deciso che i corpi dei palestinesi uccisi durante gli attacchi non saranno restituiti alle famiglie, ma sepolti in aree militari remote. Agli attentatori, così come ai loro stretti familiari, sarà revocata la residenza a Gerusalemme.
C’è quindi un crescendo di violenza e di violazioni. Solo la fine dell’occupazione, il rispetto della legalità internazionale – incluse le risoluzioni delle Nazioni Unite – e il riconoscimento di pieni diritti per i palestinesi può portare ad una pace giusta basata su libertà, uguaglianza e giustizia per tutte/i in Palestina e Israele.
(da COSPE, 22 ottobre 2015)