Dunque, è arrivato il momento di un post sui mondiali che si stanno giocando in Sudafrica, la prima edizione dei campionati mondiali per nazioni che si gioca sul suolo africano in onore, e con l’onere morale, di una libertà razziale tanto agognata e finalmente conquistata ad opera di Nelson Mandela (ma non solo).
In campo non s’è visto finora tutto ‘sto gran gioco, anzi!
Autogol e papere quante ne volete!
Molti, tra dotti, medici e sapienti, ritengono il pallone ultratecnologico denominato Jabulani a trarre in inganno i calciatori.
Proviamo a smontarlo, ipoteticamente, per vedere se e quanto il materiale in cui è assemblato il pallone può inficiare le prestazioni degli atleti.
Cominciamo dal nome: Jabulani in una tra le dodicimila tra lingue e dialetti con cui si favella in Sudafrica vuol dire “Fare Festa” e difatti alcuni giocatori hanno fatto festa vedendo i propri tiri blandi (nelle infinite partite che da piccolo giocavo per strada, tra saracinesca e saracinesca si chiamavano caramelle) trasformarsi in clamorosi gollonzi.
Tecnicamente Jabulani si compone di otto pannelli realizzati mischiando due materiali dai nomi improponibili, tali Etilene Vinil Acetato e Elastomeri Termoplastici Poliuretanici, che secondo gli ingegneri che lo hanno progettato avrebbero dovuto consentire virtuosismi strepitosi e parabole impossibili di cui finora non si è vista nemmeno l’ombra.
La colpa è dell’altitudine – sentenziano i suddetti ingegneri – che modifica le caratteristiche fisiche del pallone.
Ah, ora abbiamo capito!
E di questa immagine che mi dite?