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Palmipedone #187 —Una scatola avana—

Creato il 09 gennaio 2011 da Ilainwonderland

A batterci lievemente il palmo della mano sopra si sente un rumore sordo e appena echeggiante, che non lascia presagire chissà quale resistenza;
se mi ci sedessi sopra probabilmente si spezzerebbe in due, a maggior ragione adesso sotto le feste che lo sento quel chilo in più, non c’è manco il bisogno di vederlo, manco il bisogno di misurarlo, io so quant’è e dove sta e cioè sempre al posto sbagliato. Non è proprio il caso, quindi, di sentirsi un’esile trapezista del Cirque du Soleil e di sedersi sul davanzale, è di marmo, dovrebbe essere duro come il marmo, ma a batterci lievemente il palmo della mano sopra fa un rumore sordo e appena echeggiante, non sembra poi così resistente, secondo me si spezzerebbe in due.
Ho questa cattiva, cattivissima abitudine, io, di sedermi ovunque tranne dove il mio preziosissimo derrière dovrebbe di norma posarsi: tavoli, pensili, cattedre, braccioli, letti, tappeti, gradini, pavimenti, schienali di sedie, staccionate, dizionari. E davanzali. È un modo di essere alternativa che probabilmente mi porto dietro dalla mia vita passata, dalla quale proviene anche il mio irrazionale odio per le sorprese e il mio amore per il sonno, troppo radicati per essersi originati nella vita che vivo.

Palmipedone #187 —Una scatola avana—

...Il colore delle pareti. Quadri elettrici con fili a vista...

Il davanzale è l’unica cosa buona di questa stanza se si considera che sotto c’è anche il termosifone.
Tutto il resto è orribile.
Il colore del pavimento.
Il colore delle pareti.
Quadri elettrici con fili a vista.
Ma soprattutto il soffitto.
Che, ho pensato, è la parte della stanza che sei costretto a rimirare più a lungo perché è quella che, da sdraiato, ti ritroverai involontariamente a fissare aprendo gli occhi. Magari a guardarla, senza vederla. Fatto sta che è brutta. Mia nonna quel colore lo chiama avana.
Una roba che non è marrone. Non è beige. Non è bianco.
È avana.
A listoni.
E al centro l’allarme anticendio come una pustola bianca.
Gli ho detto papà se un giorno mi sento male portatemi da un’altra parte, una parte bella, che se sono anche bravi è anche meglio, ma prima di tutto deve essere bello il soffitto, che sennò muoio dentro, capito papà? Sì, mi ha detto. Hai ragione, mi ha detto.
Infatti mio nonno nella stanza mica ci sta.
Mica se ne rimane a guardare il soffitto.
Quel soffitto fa schifo.
Non ci vuole una laurea per capirlo.
Mio nonno cammina.
Passeggia avanti e indietro lungo i corridoi larghi e freddi, su cui si aprono porte che non sempre conducono a stanze abitate: davanti la porta della stanza di mio nonno ci vive un bidet che ha mangiato per sbaglio delle sbarre di ferro e per castigarlo l’hanno messo lì, insieme a delle bombole di ossigeno lunghe e sottili, assieme a dei materassi ancora imballati, il tutto illuminato da una luce al neon che a guardare in alto è comunque immersa in un mare avana, la stanza dei castighi c’ha il soffitto come le stanze normali. Mica è giusto.
Mio nonno quando è arrivato non aveva il cuscino. I cuscini sono finiti, vedremo di reperirne qualcuno in un altro reparto, ecco sì, vedete un po’ forse è il caso.
Mio nonno mi ha detto la minestra era tutt’acqua, ho scolato il liquido nel lavandino e nel piatto c’erano rimasti sedici cannolicchi (mio nonno cannolicchi ci chiama i ditali), sedici.
Mia nonna gli porta da casa il caffè e non so se è quello che lo aiuta a raccontare storie, a riferirle come se fossero fatti veri, tipo quella del centenario che viene intervistato a casa sua dai giornalisti che gli chiedono quale sia il segreto della sua longevità: “Non ho mai bevuto un goccio di vino”, risponde lui, e mentre lo dice improvvisamente si sente un frastuono che il centenario si affretta a spiegare dicendo “Non ci fate caso, è mio padre che, ubriaco, è caduto per le scale, fa sempre così, ma non vi preoccupate, rimbalza come una palletta”. Io l’ho capita a scoppio ritadato, ma l’ho capita.
Mio nonno ha passato in ospedale tutte le piovosissime vacanze di Natale.
In una scatola avana.
Con un’unica finestra con vista sui cavi del tram.
Mio nonno quando sono andata a trovarlo mi ha detto che sei venuta a fare, non lo sai che la vecchaia è contagiosa?

Una cosa che mio nonno probabilmente manco sospetta è che, eventualmente, la vecchiaia potrei attaccarla io a lui, e non il viceversa.



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