See the way she walks,
hear the way she talks,
she’s a femme fatale.
[Velvet Underground - Femme Fatale]
L’essere femmina non è una cosa che si ottiene per diritto di nascita, e per femmina non intendo mica i caratteri sessuali primari, figuriamoci poi quelli secondari la cui ripartizione fra la popolazione è squilibrata e scriteriata. No, femmina nel senso di borse, scarpe e creme per il corpo.
Tanto per cominciare la femmina le borse e le scarpe le chiama per nome, la Kelly, la Louis Vuitton, le Jimmy Choo. Anche se poi vive talloni a terra e fa acquisti da Carpisa, la femmina ama parlare di scarpe con un tacco proibitivo e di borse con almeno tre nove prima della virgola, di quelle che si portano appese al braccio piegato con nonchalance mentre si cammina
un po’ ondeggiando
con dei grandi occhiali da sole,
un piede davanti l’altro,
rapidamente,
come un uomo d’affari
se fosse donna,
anzi femmina;
di quelle che non avrà mai primo perché con la stessa spesa ci si rinnova tutto il guardaroba, secondo perché non saprebbe con cosa metterle anche se è risaputo che quelle sono borse che stanno bene con tutto e valorizzano anche una blusa di H&M. La femmina dice blusa. E H&M lo pronuncia eichanàm.
Ciò che distingue una femmina da una comunissima fashion addicted è però il contenuto della borsa. La femmina ha l’agenda per tenere a mente gli impegni, ha uno specchietto per controllare che il proprio aspetto sia sempre in ordine, ha il burro di cacao e il lucidalabbra, una limetta per le unghie (ricostruite), l’amuchina e una crema per le mani.
Una crema per le mani.
Una crema per le mani.
La femmina e le creme sono inseparabili, normalmente ne usa almeno quattro tipi: quella per il viso, quella per le mani che, se può, si porta anche dietro, la crema per capelli, la crema per il corpo,
da spalmare con lievi movimenti circolari,
dopo il bagno,
o la doccia
(il bagno però è più da femmina),
fino a completo assorbimento,
per una pelle morbida e profumata,
con lievi movimenti circolari,
fino al completo assorbimento.
Indossare quindi biancheria coordinata.
Le uniche scarpe che chiamo per nome sono le Converse.
Ci sono volte che andrei in giro anche con una busta di plastica se solo possedesse il requisito fondamentale di avere le tasche interne che, per una disordinata come me, hanno il preciso scopo di aumentare il tempo necessario per trovare qualsiasi cosa e di suscitare il terrore di averla persa. Con me ho dei cerotti, la Tachipirina, lo spazzolino da denti, un pacchetto di fazzoletti perché
Ilà che ce l’hai ‘n fazzoletto?
una penna.
Poi cambio borsa e non ce l’ho più.
Se devo camminare è matematico che io abbia il vento a favore, il che rende inutile l’essersi pettinata prima di uscire.
Dimentico sempre l’orologio da polso, ma al suo posto ho sempre un elastico per capelli.
Evito i tacchi perché non sopporto il mal di piedi, perché fanno rumore e perché sono già alta.
H&M lo pronuncio accaeemme.
La crema per le mani la uso solo quando mi vengono le squame dopodiché mi aggiro in posture tipo Signor Burns e mi atteggio a mutilata di guerra.
Porto le unghie corte perché odio accorgermi di averle.
Di stare lì a impiastricciare la crema per il corpo sulla pelle appena lavata non ho proprio la pazienza.
Per quanto riguarda la biancheria coordinata sto un po’ migliorando, nel senso che cerco di evitare abbinamenti di colore azzardati tipo verde petrolio e giallo.
Ho anche messo un burro di cacao in una delle borse.
Però non mi ricordo quale.
Piesse:
l’essere donna è un’altra cosa ancora.
È un garbuglio che non si capisce.
Né da fuori né da dentro.