Quel tempo resta il più confuso della mia vita, il più indecifrabile. Ho la precisa sensazione che qualcosa, non so che cosa, mi difendesse dalle amarezze e dagli scoramenti irrimediabili, m’imponesse di continuare a vivere così, automaticamente, con una oscura alterezza per la mia silenziosa acquiescenza al destino. La memoria dei miei anni infantili era un’oasi cui talora ricorrevo. Ma dopo quella, sorgeva immancabilmente l’immagine della donna dolorosa nel tragico asilo, quale l’avevo vista la prima volta, poche settimane dopo la sua partenza: e provavo un brivido subitaneo, quasi la sensazione di chi, smarrito su un ghiacciaio, sente le oscillazioni d’una corda che lo lega ad un compagno precipitato nell’abisso. Oh la voce di mia madre, già diversa, che diceva cose incoerenti! E l’immenso casamento dal quale si elevava un brusio confuso di risa e di singhiozzi, come l’eco d’una folla in tempesta che un muro dividesse dal resto del mondo; i vasti corridoi, deserti, lungo i quali strisciavano le infermiere con mazzi di chiavi alla cintola, mentre agli usci s’affacciavano talora figure fuggevoli dai grandi occhi sbarrati e dalle bocche sorridenti, fantasmi d’una vita occulta; e infine la stanza bianca colle sue inferriate, alle quali mia madre si afferrava chiamando a nome la città che si stendeva lontana e bellissima nel sole, come un bimbo chiama a sé il lago e il bosco! Ero uscita dal recinto di dolore con un tremito interno, senza poter piangere né parlare, sentendo una sofferenza fisica che mi prostrava e rivoltava insieme, qualcosa di oscuro e d’inesprimibile, come un desiderio sconfinato di evasione: evadere dalla vita, smarrire la strada che conduce al porto della pazzia… Un anno, così, avvolto di nebbia tetra. Poi… il palpito in me d’una nuova vita, e l’attesa ineffabile… (meditazione su: Una donna di Sibilla Aleramo).
LA MIA VITA
Vuoi saper come io viva? In pochi accenti
Tutto per me saprai da capo a fondo:
Son come un morto in mezzo de’ viventi,
Nel centro dell’Italia e fuor del mondo.
Quanto più so, cerco fuggir le genti;
Non narro i fatti miei, non li nascondo;
Cura o dolor non ho che mi tormenti;
Di buon umor non manco e non abbondo.
Nella famiglia mia regna la pace;
Io ne sono al governo, e del mio sesso
Compier ogni dover non mi dispiace.
Co’ lavori lo studio alterno spesso,
E come ogni altro si riposa e tace,
Tento appressarmi all’onda del Permesso.
Il Gozzi ho sempre appresso,
E me lo tengo sotto al capezzale,
Or dissi tutto: faccio bene o male?
-Teresa Albarelli Verdoni-
(Verona, 1788 – Venezia, 1868)
COMMENTI (1)
Inviato il 09 marzo a 00:15
Leggere Sibilla Aleramo e' per me come sorseggiare un bicchierino di elisir di lunga vita. La vita che corre su due binari paralleli uno, quello dell'amara realta' del quotidiano e l'altro, la voglia instancabile di voler cambiare il corso degli eventi,di voler esserne protagonista e di non subire mai il destino. Una vera dimostrazione di grandezza d'animo femminile e di sensibilita' che trova energia nel dolore per dare forza alla speranza.