Prima fu una gita invernale con due compagne d'università.
Ci ammazzo di fatica. Ci irritammo vicendevolmente. Rompemmo equilibri che non si sarebbero più ristabiliti.
Poi fu un ferragosto insieme al mio teutonico amore.
Macinammo km. Rischiammo il colpo di sole.
Infine furono gli Internazionali di tennis al Foro Italico con Ciccio.
Guardammo gli Internazionali di tennis al Foro Italico.
Sono stata a Roma più di una volta.
Ma non la conosco. O, meglio, la conosco con tutta la superficialità di cui è capace un turista qualsiasi.
Mi piacerebbe raccontarvi che so a memoria le sue mille stradine. Che ne ho bevuto l'essenza. Che ne ho succhiato il midollo. Ma mentirei.
Il mio rapporto con la capitale non conosce profondità. E' patinato, fatto di cliché e scorci da cartolina.
Per questo motivo, trovandomi bloccata nella città eterna, non fui in grado di scegliere percorsi originali e alternativi. Ma mi limitai a prendere coscienza che, considerando i tempi da dedicare agli spostamenti, il pranzo e il ritiro del bagaglio, sarebbe stato saggio decidere per una sola meta da raggiungere.
Scelsi una meta banale e prevedibile.
Una meta che selezionai facendo scorrere il dito sulla cartina della metro.
Linea A. Quella rossa.
A scorrere verso l'alto e a sinistra.
Una pausa. Piazza di Spagna? No. Meglio di no.
Il desiderio di andare oltre. Ottaviano? San Pietro? Sì.
Giusto per poter dire al mio ritorno in Sabaudia: "Quest'estate sono stata anche all'estero...ahahahah..."
Una pessima vecchia battuta, ne convengo. Ma i veri amici sanno ridere anche a quelle.
In mezzo a Piazza San Pietro trovai tutto il mondo. Tutto il mondo sotto mille ombrelli parasole.
Tutto il mondo compresa me. Una riccia che, colpita dal sacro fuoco di Istangram, faceva foto sbilenche al cupolone.
Tutto il mondo a sudare e patire, amando Roma e maledicendola al tempo stesso.
Del resto Roma è così. Troppo calda, troppo rumorosa, troppo caotica.
La capitale di un Impero. Adesso. Sempre. Comunque.
Eterna non per definizione ma per vocazione.
Roma che esaspera ma incanta.
Roma che stressa ma conquista.
Un attimo prima sei felice di lasciartela alle spalle. Dici quello che dicono tutti "Bella sì, ma non ci vivrei mai."
Un attimo dopo già ti manca. E pensi quello che pensano tutti "Ci devo tornare".
Ed è questo che pensai anch'io quando, sudata e stropicciata, presi finalmente posto sull'autobus che mi avrebbe portata in mezzo agli Appennini.
Presi posto e, come suggeritomi dalla mia amica Gra', cominciai a cantare "Marozzi Marozzi te famo li buozzi", inno ufficiale(?) degli studenti irpini in trasferta a Roma.
Io, in realtà, stavo facendo il percorso inverso, ma l'importante è lo spirito con cui si seguono certe tradizioni. Lo spirito più che la direzione.
La direzione è una questione di testa. Lo spirito di spirito.
Continua...
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