Spiegazione: i due post di Luca esprimono concetti molto vicini a quelli del libro dell'altro Luca. Il blog è morto. O meglio, è morto un certo modo di viverlo. Il web si spinge verso il real time, verso l'immediatezza del tweet (si impiega un secondo a scriverlo, pochi istanti per avere una panoramica degli argomenti cool del giorno).
Non che il blog sia ormai uno strumento da buttare via. Semplicemente è qualcosa che richiede cura, tempo, attenzione. Nel tempo in cui si elabora un post, lo si impagina e lo si pubblica, su Twitter la comunicazione è andata avanti, il tema del post diventa vecchio e il mondo va avanti senza che ce ne accorgiamo. Un blog personale non può essere uno strumento giornalistico: o è una testata o non lo è.
Se io voglio aggiornare i miei influencer sul fatto che non ho visto #report domenica sera, dedicare un post all'argomento è uno spreco di tempo e risorse (e difficilmente lo leggeranno in molti). Se io voglio aggiornare i miei influencer sull'opinione che mi sono fatta della puntata di #report (che non ho visto, ovviamente, in puro trend giornalistichese), allora un tweet non basta. Qui - e solo qui - entra in gioco il blog.
(ps. i post di Luca Conti sono Non sono più lo stesso e neanche questo blog, seguito da Il blog non è morto e Pandemia neanche).