QUASI UN QUARTO DEL PANE CONFEZIONATO VENDUTO NEI SUPERMERCATI ITALIANI PROVIENE DAI PAESI DELL’EST. Qualcuno lo prepara in casa, altri si rivolgono al panettiere di fiducia, in tantissimi lo acquistano al supermercato. Nei punti vendita della grande distribuzione il prezzo del pane è infatti inferiore rispetto a quello dei panini artigianali che si trovano nelle panetterie.Ma a cosa è dovuta questa differenza (in molti casi considerevole) di costo? Quasi un quarto del pane confezionato venduto nei supermercati italiani proviene dai Paesi dell’est ed in particolare dalla Romania. Essendo preimpastati e surgelati, i panini rumeni costano meno della metà di quelli nostrani e durano di più, anche fino a due anni. È sufficiente una rapida cottura e il pane precotto è pronto per essere mangiato.
A FAR LUCE SUL FENOMENO DELLO SFILATINO MADE IN ROMANIA. E’ un’inchiesta realizzata da La Repubblica che rivela che il pane (soprattutto baguette) prodotto in Romania e altri paesi dell’Est (Bulgaria, Ungheria, Moldavia) non supera i due euro al chilo: meno della metà di quello in vendita nei nostri panifici (4-5 euro).Ogni anno vengono prodotti 4 milioni di chili di pane surgelato a lunghissima conservazione (24 mesi) nella sola Romania. Qui il fabbisogno nazionale è basso e quindi più della metà del pane prodotto viene esportato, in particolare in Italia. E in tempi di crisi, il pane rumeno venduto a prezzi altamente concorrenziali viene acquistato da molti cittadini italiani.Quali sono però le conseguenze di questa tendenza? Il problema è che in Italia non c’è l’obbligo di scrivere sull’etichetta la provenienza del prodotto pane; il consumatore non sa dunque che quello che compra non è un prodotto italiano. A lanciare l’allarme è stato Luca Vecchiato, presidente nazionale di Federpanificatori, che sottolinea come l’ingiustizia stia nel fatto che il consumatore non sa cosa acquista: sull’etichetta della grande distribuzione viene indicato il luogo in cui pagnotte e sfilatini sono stati riscaldati, ma non dove sono stati sfornati. Secondo Vecchiato dunque è necessario controllare la filiera come accade per la carne o il latte.
OGGI SPESSO I CONSUMATORI MASTICANO QUALCOSA CHE ASSOMIGLIA AD UN PRODOTTO GOMMOSO E PRIVO DI SAPORE. Spiega l’ Associazione per i diritti degli utenti e consumatori. Secondo Aduc la bontà del pane è data dalla qualità del prodotto base, cioè la farina, dall’acqua e dal lievito, nonché dalla macinazione, dalla lievitazione e dalla cottura.“Una farina con scarso glutine è di minore qualità, il lievito può essere chimico e può lasciare un sapore sgradevole al pane, l’acqua di pianura può contenere residui chimici che interferiscono con il gusto, il macinato dovrebbe essere lasciato maturare per un mese ma viene trattato con ‘maturanti’ chimici che ne diminuiscono la qualità, la lievitazione forzata dà luogo a odori sgradevoli, una cattiva cottura produce un pane di color chiaro decisamente meno saporito di uno scuro. Insomma tutti questi elementi contribuiscono o meno alla qualità del nostro ‘pane quotidiano’”.Secondo l’associazione sarebbe indispensabile fornire al consumatore le informazioni per scegliere. Aduc spiega ad esempio che con W si indica la qualità della farina che per un buon pane dovrebbe essere superiore al numero 350. “Per un Paese che mira alla valorizzazione dei prodotti tipici queste notizie dovrebbero essere del tutto normali. Purtroppo ancora non lo sono”.In mancanza di informazioni esaurienti e per chi vuole ridurre i consumi, un consiglio generale è quello di preparare in casa il pane che si porta in tavola: tutto ciò che si riesce ad auto-produrre in casa, infatti, costa di meno a fronte di una maggiore qualità e gusto.
Redatto da Pjmanc: http://ilfattaccio.org