La piazza, assolata o imbrunita da un tardo pomeriggio pieno di gente, diventa crudele. La piazza di sempre, a due passi da casa e che di notte guarda la luna, si contrae e si espande. Per effetto di un grandangolo mentale diventa nemica, e anche il bar, quello solito, assume un aspetto spettrale. Il tempo perde battiti (e così il cuore), e già lo vedo espandersi per diventare oblio di morte. Non ho corso, ma mi sento in affano. Il mio panico dai colori spenti brilla, nell’oscurità o in piena luce, di rosso sangue: l’auto m’investirà, il vicolo m’ingoierà, la piazza mi soffocherà. Nel bar, dove vado ogni mattina, qualcuno mi accoltellerà. Il gatto, nella mia mente ormai una tigre, mi sbranerà. Allora immagino ambulanze e il mio corpo disteso, la mia bara e gli amici attorno che piangono. Il mio panico ha rumori ovattati o fortissimi. Dura manciate di secondi che sembrano anni.Nel bar decido di usare il rallenty e molte comparse. C’è gente che conosco, sì, ma sembra che proprio tutti mi guardino. Nel bar, anche la solita battuta suona volgare e rozza. Pago. Nonostante abbia toccato il portafogli già diverse volte, penso di averlo perso. No, è qui, eccolo finalmente. Conto il resto, ma stavolta con angoscia. Mi defilo stando un po’ curva e rasentando finché posso la parete, guardo il vuoto che ho davanti e che si fa più desolante. Rimbombano troppo i miei passi nel vicolo stretto. Lì, in quell’angolo oscuro accanto alla siepe, un nemico è in agguato. Anche le chiavi di casa –toccate un istante prima- si nascondono in borsa e tra le mie stesse mani. In ascensore riprendo a respirare. Chiusa la porta mi sento di nuovo al sicuro. Mi lascio scivolare sul pavimento: non ho più forze. Mi domando se la prossima volta saprò riconoscerlo.
La piazza, assolata o imbrunita da un tardo pomeriggio pieno di gente, diventa crudele. La piazza di sempre, a due passi da casa e che di notte guarda la luna, si contrae e si espande. Per effetto di un grandangolo mentale diventa nemica, e anche il bar, quello solito, assume un aspetto spettrale. Il tempo perde battiti (e così il cuore), e già lo vedo espandersi per diventare oblio di morte. Non ho corso, ma mi sento in affano. Il mio panico dai colori spenti brilla, nell’oscurità o in piena luce, di rosso sangue: l’auto m’investirà, il vicolo m’ingoierà, la piazza mi soffocherà. Nel bar, dove vado ogni mattina, qualcuno mi accoltellerà. Il gatto, nella mia mente ormai una tigre, mi sbranerà. Allora immagino ambulanze e il mio corpo disteso, la mia bara e gli amici attorno che piangono. Il mio panico ha rumori ovattati o fortissimi. Dura manciate di secondi che sembrano anni.Nel bar decido di usare il rallenty e molte comparse. C’è gente che conosco, sì, ma sembra che proprio tutti mi guardino. Nel bar, anche la solita battuta suona volgare e rozza. Pago. Nonostante abbia toccato il portafogli già diverse volte, penso di averlo perso. No, è qui, eccolo finalmente. Conto il resto, ma stavolta con angoscia. Mi defilo stando un po’ curva e rasentando finché posso la parete, guardo il vuoto che ho davanti e che si fa più desolante. Rimbombano troppo i miei passi nel vicolo stretto. Lì, in quell’angolo oscuro accanto alla siepe, un nemico è in agguato. Anche le chiavi di casa –toccate un istante prima- si nascondono in borsa e tra le mie stesse mani. In ascensore riprendo a respirare. Chiusa la porta mi sento di nuovo al sicuro. Mi lascio scivolare sul pavimento: non ho più forze. Mi domando se la prossima volta saprò riconoscerlo.
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