Questa mattina il leader radicale Marco Pannella ha proposto la candidatura del Dalai Lama a un secondo Nobel per la pace, premio che la suprema autorità del buddhismo tibetano aveva già ricevuto nel 1989. Pannella ha avanzato la sua proposta nel corso della consueta conversazione con Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale (qui potete vedere il video in cui viene motivata la proposta). L’idea non è estemporanea né casuale: Pannella è l’unico politico italiano ad avere avuto costanti rapporti politici con il Dalai Lama in tutti questi anni, quindi conosce bene la drammatica questione tibetana. Ma perché avanzare ora la proposta del Nobel per la pace, e perché farlo quando lo stesso Pannella sa benissimo che nessuno ha mai ricevuto due volte il premio? La provocazione pannelliana nasce da una intervista appena rilasciata al Financial Times dal Dalai Lama, in cui questi afferma che, benché storicamente il Tibet sia stato una nazione indipendente, oggi si debba essere realisti e quindi si dichiara disposto a considerare il Tibet come territorio cinese a patto che la cultura tibetana e i diritti civili dei tibetani vengano rispettati dalla Cina (qui c’è il testo dell’intervista pubblicata dal Financial Times).
La posizione espressa dal Dalai Lama non è nuova: per esempio tempo fa, durante una visita a Bolzano, aveva affermato di vedere l’autonomia della gente di lingua tedesca nell’ambito della Repubblica Italiana come un modello possibile per i tibetani nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese. Ma il fatto che ora il Dalai Lama abbia ribadito a chiare lettere nell’intervista al giornale britannico di non considerare l’indipendenza un obiettivo realistico consente a Pannella di dire che il Dalai Lama avrebbe così tolto ogni pretesto alla Cina per negare una possibilità di reale mediazione con le delegazioni del Governo tibetano in esilio (le trattative tibeto-cinesi in questi anni non hanno prodotto alcun risultato), accusate di volere comunque violare l’integrità territoriale della Cina.
I problemi che si aprono a questo punto, però, sono molti, e ci vorrebbe un libro, più che un post, per descriverli. In sintesi: l’ondata di tragiche auto-immolazioni susseguitesi in Tibet (le “torce umane”) è stata rimossa dalla Cina che le ha targate come gesti disperati di singoli anziché come espressioni di una disperazione popolare ormai giunta al culmine fra i tibetani; la Repubblica Popolare Cinese non è l’Italia, e il modello-Bolzano appare di assai difficile applicazione in un contesto giuridico-politico come quello cinese; ampi settori del mondo giovanile tibetano (in esilio e non solo) contestano ormai apertamente il Dalai Lama accusandolo di non avere ottenuto nulla, in questi anni, con la sua linea morbida (chiamata buddhisticamente “Via di mezzo”) nei confronti dei cinesi, e si interrogano perfino su un’opzione di resistenza armata. Il problema che pongono da tempo gli ormai numerosi critici del Dalai Lama anche in Occidente (per esempio l’ex presidente dell’Associazione Italia-Tibet Piero Verni) è che mantenere una linea morbida nei confronti di Pechino sia stato un grave errore dell’entourage politico che circonda e consiglia il Dalai Lama, e che viceversa una linea più dura avrebbe dato e potrebbe ancora dare maggiori risultati. Insomma, la Cina starebbe solo aspettando la morte dell’ormai anziano XIV Dalai Lama per dichiarare chiusa la questione tibetana e proprio per questo non si dovrebbe ammainare la bandiera dell’indipendenza del Tibet, pena, appunto, la virtuale sepoltura di ogni speranza dei tibetani.
Credo che Pannella sia cosciente di tutto questo eppure – mi pare – sostiene che un nuovo Nobel per la Pace al Dalai Lama – per il suo coerente sforzo di costruire una politica nonviolenta e orientata alla mediazione – darebbe maggior forza alla delegazione tibetana, dandole maggiori possibilità di far andare in porto un accordo di tutela dei diritti civili dei tibetani nell’ambito di un quadro politico nazionale cinese, come richiesto da Pechino. Chi ha ragione secondo voi? Aspetto le vostre opinioni, che mi auguro numerose: il Tibet non ha più tempo.
(P.s.: per approfondimenti su questi temi leggete su questo blog i post contenuti nella categoria “Tibet”).