Questo blog, per tutta una serie di motivi con cui non sto a tediarvi (non da ultimo il fatto che il mio amato bene di recente si è sentito male di nuovo causa ritmi di lavoro da miniera, e grazie al cielo che le cure fanno effetto), è in fase di completo abbandono. Se fosse un giardino, sarebbe la sagra dell'erbaccia. Se fosse una casa, la sagra delle ragnatele (non dissimile quindi dalla mia bicocca, visto che c'ho il tempo di pulire come si confà una volta alla settimana). Internet difetta di entrambe, però un bel po' di muffa virtuale codesto ricettario l'ha presa. Quindi mi pare cosa santa, anche perché alcuni benevoli lettori mi stanno facendo una capa tanto su quel certo social network inviandomi messaggi privati un giorno sì e l'altro pure - e meno male che non mi cazziano in bacheca - farvi gli auguri con un dolce del mio Sannio.
Il pannocchio, per inciso, è giusto vanto della pasticceria Lupacchioli, la più titolata del capoluogo, e durante le feste sulla tavola non manca mai. Gli amici non sanniti che hanno avuto occasione di assaggiarlo (ne sono infatti fiera spacciatrice nell'Urbe e non solo) sono andati in visibilio. E a me è sempre spiaciuto che la sua fama non abbia superato i confini della regione.
Domenica scorsa ho scoperto che mi sbagliavo. Grazie a un veneto.
Il veneto in questione si chiama Michele, detto lo ZioMic perché ci conosciamo dalla bellezza di ventidue anni, e all'epoca gli otto anni di differenza che separano la mia età dalla sua erano parecchi. Per parlare diffusamente dello ZioMic non basterebbe un trattato: basti dire che, fra le sue tante qualità, ha pure quella di avere accanto una donna splendida che è altresì una maga del mestolo e del mattarello (mi si dirà che trattasi di qualità non personale di ZioMic, ma converrete che un uomo il quale ha accanto una donna splendida di pregi ne deve avere parecchi).
Nella conversazione domenicale che abbiamo avuto, ZioMic mi ha parlato con toni da estasi amorosa di un dolce che la sua signora gli ammannisce: "Credimi, un gusto unico, quello dei dolci di una volta, non ne fanno più così, e dire che non ci sono né burro né uova... Io la chiamo la Torta Albero degli Zoccoli, perché mi fa pensare al film".
Io, che amo i dolci d'antan quanto i film di Olmi, ovviamente ho iniziato a tartassarlo per avere la ricetta, la quale è giunta a stretto giro di posta elettronica. Una bella ricetta vegana, che mi riprometto di provare quanto prima perché, assicura la consorte di ZioMic, "il gusto della farina di mais lo rende originale rispetto ai soliti dolci e anche più allegro. Poi sopra si è formata una crosticina dorata che è la fine del mondo!"
In calce alla versione vegana, la ricetta originale che era servita da spunto.
Quella del mio pannocchio di Natale.
Ora, se una fanciulla della Marca trevigiana invia a una rocciosa sannita la ricetta del dolce natalizio forse più celebre del Molise insieme ai mostaccioli e ai caragnoli, mettersi ai fornelli non è un'opzione: è un dovere.
Pertanto mi sono messa 'u zinale (grembiale, per chi non ha mai sciacquato i panni nel torrente Cigno), ho cacciato fuori dalla dispensa la farina di granturco regalo di Tania, e mi sono messa all'opera.
Il risultato, sfornato intorno all'una, non è arrivato alle otto di sera.
Dal che se ne deduce che se anche voi proporrete ai vostri cari questo dolce, che ha pure il vantaggio di essre velocissimo da preparare, non farete un soldino di danno.
Ingredienti:
300 grammi di farina bianca
150 grammi di farina di mais
300 grammi di zucchero
5 uova
300 grammi di burro morbido
1 bustina di lievito per dolci
1 bustina vanillina (da impiegare solo se non è vanigliato il lievito)
1 bicchierino di liquore (strega, rum o amaretto, ma secondo me pure il ponce non ci sta male)
1 bicchierino di gocce di cioccolato
1 pizzico di sale
Preparazione:
in primis come al solito portartevi avanti col lavoro e preriscaldate il forno a 160°, poi ungete un bello stampo (se possibile antiaderente) da plumcake o una teglia e infarinate la superficie unta con farina di mais, badando a scuoterne via l'eccesso.
In una capace terrina mescolate insieme uova, burro, zucchero, liquore e sale, aiutandovi con uno sbattitore elettrico per fare prima. Armatevi quindi di setaccio e poco alla volta fate cadere nell'impasto la farina di mais, la farina bianca e il lievito, mescolando ben bene. Il composto sarà morbido ma consistente, e profumerà oltre ogni dire. In ultimo unite le gocce di cioccolato, e incorporatele in tutto l'impasto con movimenti dal basso verso l'alto.
Infornate quindi sul piano intermedio e lasciate cuocere per fatti suoi per tre quarti d'ora o giù di lì, periodo che potrete impiegare per farvi serenamente i fatti vostri, o per incartare i regali di Natale.
A un certo punto le vostre nari saranno assalite da un profumino delizioso. Andate in cucina, fate la consueta prova stecchino, e se esce pulito spegnete il forno. Lasciate il dolce al suo interno per altri cinque minuti, quindi tiratelo fuori con l'aiuto di un paio di mappine, e se la crosticina dorata in superficie non vi fa esclamare "oh, che bello!" sappiate che avete la sensibilità di un matematico.
Fate raffreddare il dolce completamente prima di affettarlo (se resistete, beninteso) perché a temperatura ambiente è più buono. Io, l'amato bene e Dottor P che era ospite da noi non abbiamo resistito: e abbiamo così constatato che, grazie alla struttura della pasta, le gocce di cioccolato anziché precipitare in massa sul fondo come hanno l'abitudine di fare son rimaste diligentemente a picchiettare tutto l'interno. E anche queste sono soddisfazioni.
E quando lo gusterete con familiari, amici e persone care, inviatemi un salutino. Io da parte mia, vi faccio tanti auguri di buon Natale. E speriamo che sia davvero buono, e con lui i giorni a venire.