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Non conoscevo la storia di storia di Luigi Silipo, conoscevo il calciatore/allenatore omonimo (e questo dopo aver letto Blocco 52 mi fa sentire in colpa). Pensavo di addentrarmi in un reticolo politico-catanzarese degli anni ’60 in cui avrei potuto recuperare o imparare cose nuove che potessero riguardare anche la mia parte di Calabria, ma “per fortuna” il libro non è solo questo, anzi a mio modestissimo parere solo una piccolissima parte delle pagine ne sono impregnate, d’altronde se uno vuole documentarsi sull’argomento esistono sicuramente dei saggi storico-politico che trattano delle lotte contadine in Calabria o della sinistra calabrese, giusto per rimanere sulla riva in cui il libro cammina. Blocco 52 ti fa ricordare o scoprire, dipende dall’età, che il Catanzaro non ha sempre giocato nelle serie minori, ma che anzi le Aquile sono parte integrante del vissuto degli sportivi calabresi, almeno per i più anziani, ti fa riflettere sui valori sociali che lo sport, in questo caso il calcio, rappresentano in terre periferiche come le nostre, spesso addirittura sono delle vere e proprie rivalse sociali, come lo è stato il Napoli di Maradona che ancora dopo più di vent’anni emoziona. Oltre questo il libro ti fa sentire gli odori dei vicoli, odori che oggi non ci sono più, sarà per lo smog ma soprattutto per il fatto che i centri storici non sono più centro, spesso addirittura sono diventati periferia (almeno da un punto di vista strettamente sociale), o posti semi abbandonati in cui gli unici odori che senti sono quelli della solitudine o della fatiscenza. Farà anche sapere, a chi non conosce Catanzaro, che la città guarda il mare ma non da chilometri di distanza bensì ci si specchia. Sembrerà banale ma a mio avviso a chi vive oltre regione e non c’è mai stato non gli viene neanche lontanamente l’idea che Catanzaro ha una marina in cui è possibile farsi una bella pescata dal suo porticciolo, viene vista come una città di burocrati e piccola borghesia impiegatizia tutta adagiata nei suoi uffici, ma in Blocco 52 tutto ciò traspare e ti porta a conoscenza del fatto che il tipo di sviluppo imposto ai nuovi quartieri è stato, come al solito in quasi tutto il mezzogiorno, di tipo egoistico e affaristico ma non di tipo etico e sociale con lo sguardo rivolto verso le famiglie e la comunità in genere. Per non parlare poi dei sapori che si possono “gustare” anche solo leggendo il libro, certo qui io ho percepito l’impronta di Camilleri o di Vasquez Montalbàn, non sto dicendo che ci sia stata un copia incolla dei due, ma che me li ha fatti ricordare in maniera tangibile, d’altronde anche a chi non piace mangiare il morzello (come me) può piacere l’odore che si propaga dalla pentola. E’ insomma anche un libro che mi piace definire “olfattivo”, leggendolo pensi a quand’eri bambino e giocavi in vicoli simili a quelli descritti, o andavi al mare con tuo papà che guidava stando attento ai ripidi tornanti delle vecchie strade degli anni ’70 inzio ’80, e al rientro a casa per l’ora di pranzo venivi ammantato dall’odore che usciva dal tegame in terracotta dove tua nonna aveva iniziato a cucinare il ragù di carne mista già qualche ora prima. Intorno a questo c’è però una brutta storia di sangue, non si è capito che tipo di sangue sia Politico? Passionale? “d’Interessi Padronali”? Invidia? (della serie dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io?….) sicuramente non lo hanno capito gli autori ma resta il fatto che grazie a loro non è più Una storia scomparsa, rimane sicuramente purtroppo una Città perduta!
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