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Tuttavia fuori del sistema di valori del Teatro dell'Arte, in cui ciascuna maschera ha una decisa connotazione regionale e sociale (per cui Pantalone è il padrone veneziano che parla in veneziano mentre lo Zanni o Arlecchino sono servitori che, provenienti dall'entroterra, si esprimono nel loro rustico dialetto), è difficile riscontrare un qualche elemento di storicità in questa maschera tranne che nell'ambito cittadino cinquecentesco. Tuttora assai apprezzata dal pubblico di tutto il mondo, la Commedia dell'Arte sembra giunta già da lungo tempo al capolinea proprio in Italia e in particolare a Venezia, dove è coltivata da poche compagnie amatoriali o semiprofessionali, laddove al contrario occorrerebbe forse un intervento pubblico per difendere quello che della tradizione ancora resiste (almeno negli archivi e nelle biblioteche). Fatto sta che, salvo rare eccezioni o presenze di grandi attori (come Dario Fo nel Festival della Biennale Teatro del 1985), gli attori che vogliono studiare le maschere dell'Arte devono riparare alle scuole transalpine, così come fecero già a lor tempo gli Arlecchini di Giorgio Strehler, Mario Moretti prima e Ferruccio Soleri dopo.
Ma per Pantalone è diverso: la mimica è ridotta ad un andamento incerto che cerca spesso sicurezza nel bastone e si guarda intorno in modo sospettoso, e quel che più conta è la parola, a volte assai tagliente soprattutto nei confronti dei giovani e delle donne.
Quella che occorre quindi per un Pantalone che sia degno erede di Cesco Baseggio e di Nico Pepe, è una formazione fortemente locale. Nato a Udine nel 1907 e scomparso all'età di ottant'anni, Pepe si considerò un vero missionario del teatro dell'Arte al quale dedicò fino alla fine grandi stage spettacolari, trascinando di città in città, come gli antichi capocomici, un baule ricolmo di maschere. Scoperto anche lui nel '47 da Strehler per la memorabile edizione di Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, Pepe coltivò senza sosta la maschera di Pantalone portandone a perfezione l'interpretazione, ma purtroppo senza creare un allievo degno del suo nome.
Singolare è invece la storia di un certo Giambattista Garelli, vissuto a Venezia nel '700, a tal punto straordinario nell'interpretare questa maschera, da diventarne infine prigioniero. Egli infatti veniva stipendiato annualmente dalla famiglia Vendramin perché non abbandonasse mai il teatro di San Salvador...
Fonti: M.Brusegan, A.Scarsella, M.Vittoria, G.Fuga, L.Vianello
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